Nel presente volume pubblichiamo gli Atti del Convegno internazionale su. John Henry Newman oggi: logos e dialogo, svoltosi a Milano presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore il 26 e 27 marzo 2009.
Il Convegno è stato promosso dal Centro di Ateneo per la dottrina sociale della Chiesa dell’Università Cattolica e dall’International Centre of Newman Friends, che ha sedi a Oxford, Roma, Bregenz e Budapest ed è diretto da membri della Famiglia spirituale «L’Opera». Della figura e del pensiero del Cardinale John Henry Newman (1801-1890) si è voluto sottolineare in particolare come la sua riflessione si sia rivelata capace di declinare, secondo modalità che in rapporto all’odierno scenario culturale risultano più che mai preziose e attuali, l’esigenza di una fede pensata e vissuta, e perciò capace di fondare un dialogo aperto e fecondo tra uomini e popoli, quali che siano le loro differenti e molteplici appartenenze.
Una fede protesa a rendere ragione di se stessa e una ragione utilizzata consapevolmente secondo tutta la sua ampiezza sviluppano la disponibilità ad accogliere, a comprendere e a condividere la verità, ovunque essa si manifesti e da qualsiasi parte provenga. «La verità, infatti, è “lògos” che crea “dia-logos” e quindi comunicazione e comunione. La verità, facendo uscire gli uomini dalle opinioni e dalle sensazioni soggettive, consente loro di portarsi al di là delle determinazioni culturali e storiche e di incontrarsi nella valutazione del valore e della sostanza delle cose» (Benedetto XVI, Caritas in ventate, 4).
Newman ha avuto chiara coscienza di questo dinamismo dialogico della verità e del reciproco compenetrarsi, in essa, di ragione e fede. Lo dimostrano, in modo diversificato e affascinante, i contributi di questo volume, che ripropongono ai lettori i vari interventi pronunciati durante il Convegno: le relazioni presentate da alcuni tra i più autorevoli studiosi di Newman a livello internazionale e le comunicazioni offerte da ricercatori che hanno recentemente conseguito un dottorato su un tema riguardante il grande pensatore inglese (o comunque su un tema connesso con l’ambiente religioso, filosofico e sociale in cui egli ha operato) . Tali contributi vengono introdotti dal telegramma trasmesso da Benedetto XVI ai partecipanti al Convegno, insieme con il saluto del Magnifico Rettore dell’Università Cattolica, professor Lorenzo Ornaghi. In appendice si pubblicano la lettera di ringraziamento che il professor Ornaghi, a nome di tutti i partecipanti, ha indirizzato al Santo Padre; la lettera inviata ai convegnisti da parte di padre Paul Chavasse, CO, Postulatore della Causa di beatificazione di Newman; e l’omelia pronunciata dal Cardinal Dionigi Tettamanzi, Arcivescovo di Milano, durante la Santa Messa di chiusura del Convegno.
In questa breve introduzione, anziché anticipare – sia pur sommariamente – i contenuti dei testi qui raccolti in volume (il che finirebbe forse per sottrarre qualcosa alla sorpresa e al piacere di una scoperta, che si vorrebbe invece riservare interamente al lettore), ci si limiterà a richiamare il significato dei due eventi che hanno costituito lo sfondo del Convegno: la ricorrenza dei 130 anni dall’ingresso di Newman nel Sacro Collegio e il processo di beatificazione.
Uomo di dialogo
Quando Newman fu elevato alla dignità cardinalizia (1879), scelse come motto le parole «cor ad cor loquitur», il cuore parla al cuore. Tale motto ci presenta la figura di Newman come uomo di dialogo. In questo contesto può essere opportuno ricordare tre caratteristiche che hanno contraddistinto l’impegno dialogico di Newman.
La prima caratteristica è la passione per la verità. Sin dalla sua ‘prima conversione’ (1816) Newman cercò la luce della verità e seguì questa ‘luce benevola’ con grande fedeltà. Promosse il Movimento di Oxford (1833) per riportare la Chiesa d’Inghilterra alla libertà e alla verità delle origini. Si convertì al cattolicesimo proprio perché trovò in esso la pienezza della verità (1845). Nel suo lavoro su Lo sviluppo della dottrina cristiana scrisse: «Vi è una verità; vi è una sola verità; l’errore religioso è per sua natura immorale; i seguaci dell’errore, a meno che non ne siano consapevoli, sono colpevoli di esserne sostenitori; si deve temere l’errore; la ricerca della verità non deve essere appagamento di curiosità; l’acquisizione della verità non assomiglia in nulla all’eccitazione per una scoperta; il nostro spirito è sottomesso alla verità, non le è, quindi, superiore ed è tenuto non tanto a dissertare su di essa, ma a venerarla […]. Questo è il principio dogmatico, che è principio di forza»[1]. Newman fu un appassionato ricercatore e veneratore della verità: nell’impegno personale, nei rapporti con gli altri, nel confronto con le scienze, nella lotta contro la faziosità delle ideologie del suo tempo. In modo lungimirante presentì il sorgere e il diffondersi di teorie relativistiche, secondo le quali si danno soltanto opinioni diverse, non verità che richiedono un assenso incondizionato. Newman fu dominato dalla persuasione che la verità esiste, che solo dalla ricerca della verità fluisce il vero dialogo, che solo la verità ci fa autentici e liberi e ci apre la strada verso la realizzazione di noi stessi.
Tale passione per la verità spinse Newman a un costante impegno per la formazione integrale dell’uomo. Affermò in un sermone: «Voglio che un intellettuale laico sia religioso e un devoto ecclesiastico sia intellettuale»[2]. Quando gli fu affidata la responsabilità pastorale per i fedeli di Littlemore, presso Oxford, fece costruire in quel villaggio sia una scuola sia una Chiesa – segno eloquente del suo impegno per la formazione integrale delle persone. Nel suo saggio su L’idea di Università ribadì che le molteplici dimensioni del sapere formano un tutt’uno e non possono essere separate, frammentate. L’università ha il compito di offrire una formazione universale, non escludendo dal confronto sereno e aperto nessuna dimensione del sapere. Per Newman fu evidente che a detta formazione universale appartiene anche quella etico-religiosa, la quale possiede una sua propria razionalità, che va rispettata, difesa e promossa. Quanto alla formazione dei fedeli laici, che gli stava molto a cuore, Newman scrisse: «Voglio un laicato non arrogante, non precipitoso nel parlare, non litigioso, ma fatto di uomini che conoscono la loro religione, che vi entrano dentro, che sanno benissimo dove si trovano, che sanno quello che possiedono e quello che non possiedono, che conoscono la propria fede così bene che sono in grado di spiegarla, che ne conoscono la storia tanto a fondo da poterla difendere. Voglio un laicato intelligente e ben istruito […]. Desidero che allarghiate le vostre conoscenze, coltiviate la ragione, siate in grado di percepire il rapporto fra verità e verità, che impariate a vedere le cose come stanno, come la fede e la ragione si relazionino fra di loro, quali siano i fondamenti e i principi del cattolicesimo […]. Sono sicuro che non diventerete meno cattolici familiarizzandovi con questi argomenti, purché man-teniate viva la convinzione che lassù c’è Dio, e ricordiate che avete un’anima che sarà giudicata e dovrà essere salvata»[3]. Newman si distinse per uno straordinario impegno formativo, valorizzando pienamente lo sviluppo di tutte le scienze e ribadendo nel contempo il ruolo insostituibile che svolgono la fede e la morale per la crescita integrale della persona e per il bene della società.
L’impegno di Newman per la formazione trovò espressione in una terza caratteristica: la sua premura di stabilire relazioni personali. Guidando il Movimento di Oxford, ribadì l’importanza della testimonianza personale. In tutta la sua vita accompagnò molti nel loro cammino umano e spirituale. Scrisse più di ventimila lettere che costituiscono una prova impressionante del suo zelo per le anime, della sua capacità di dialogare e di relazionarsi con altri. Uno dei suoi Sermoni all’Università di Oxford si intitola Il contagio personale della verità. In tale Sermone Newman parte dalla constatazione che nessuno può essere conquistato alla causa della verità con le sole argomentazioni razionali. La verità, così scrive, «è rimasta salda nel mondo non per virtù di un sistema, non grazie a libri o argomentazioni, non per merito del potere temporale, ma grazie all’influenza personale di uomini […] che ne sono in pari tempo i maestri e i modelli»[4]. Newman invita tutti a occuparsi della verità sul piano della ricerca intellettuale, ma al tempo stesso sottolinea che influisce di più – sul permanere, sullo svilupparsi e sul comunicarsi della verità – colui che vive la verità e ne diventa un testimone. Scrisse circa la forza persuasiva di un tale testimone: «Mentre egli è sconosciuto al mondo, nell’ambito di quanti lo conoscono egli ispirerà ben altri sentimenti che non sia solita destare la mera superiorità intellettuale. Gli uomini illustri agli occhi del mondo sono molto grandi alla distanza. Avvicinati, rimpiccioliscono. Ma l’attrattiva che si sprigiona da una santità ignara di essere tale è di una forza irresistibile; persuade i deboli, i timidi, gli incerti, chi è alla ricerca della verità»[5]. Non deve meravigliarci, pertanto, che, quando fu onorato con la porpora, New-man scelse, come motto, le parole «cor ad cor loquitur». Secondo lui, la verità viene trasmessa soprattutto «cor ad cor»: in modo personale, tramite l’esempio, la fedeltà e l’amore di testimoni convinti e credibili.
Santo di genio
Il processo di beatificazione di Newman, iniziato già nel 1958, era ormai prossimo a concludersi nel momento in cui si è celebrato il nostro Convegno; a pochi mesi di distanza, in data 3 luglio 2009, Benedetto XVI ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il Decreto riguardante un miracolo, attribuito proprio all’intercessione del Venerabile Servo di Dio John Henry Newman. Fra qualche mese, quindi, verrà proclamato beato. L’avvenimento conferma e propone alla venerazione di tutta la Chiesa ciò di cui sono da sempre ben consapevoli studiosi e amici di New-man, e quanti si accostano senza pregiudizi alla sua figura e ai suoi scritti: il noto convertito inglese non fu soltanto un pensatore con doti eccezionali, ma un uomo nel quale la genialità del pensiero faceva tutt’uno con la santità della vita quotidiana.
Quando egli in tarda età sentì dire che l’avrebbero chiamato santo, scrisse: «Non sono portato a fare il santo, è brutto dirlo. I santi non sono letterati, non amano i classici, non scrivono romanzi. Sono forse, alla mia maniera, abbastanza buono, ma questo non è alto profilo […]. Mi basta lucidare le scarpe ai santi, se san Filippo in cielo avesse bisogno di lucido da scarpe»[6]. Lungo tutta la sua vita Newman pensò di essere ben lontano dalla perfezione cristiana. Ma dalla sua ‘prima conversione’ la sua aspirazione fu tutta rivolta a Dio, che aveva riconosciuto come il fulcro della sua vita. Da allora in poi seguì due principi: «La crescita è la sola dimostrazione della vita» e «La santità piuttosto che la pace».
Il genio di Newman, sebbene sempre ammirato e venerato, fu riscoperto dal Concilio Vaticano II, di cui è stato un precursore profetico. Jean Guitton scrisse in proposito nel 1964: «I grandi geni sono dei profeti sempre pronti a rischiarare i grandi avvenimenti, i quali, a loro volta, gettano sui grandi geni una luce retrospettiva che dona loro un carattere profetico. È come il rapporto che intercorre tra Isaia e la passione di Cristo, reciprocamente illuminati. Così Newman rischiara con la sua presenza il Concilio e il Concilio giustifica Newman»[7]. Il Vaticano II ha recepito e consacrato tante intuizioni di Newman, ad esempio sul rapporto tra fede e ragione, sul significato della coscienza, sull’educazione universitaria, sul valore dei Padri e della storia in generale, sul mistero della Chiesa, sulla missione dei laici, sull’ecumenismo, sul dialogo con il mondo contemporaneo – grandi tematiche che vengono ampiamente trattate nel presente volume.
Nei pronunciamenti del Magistero postconciliare la dottrina di Newman viene continuamente valorizzata. Basta menzionare alcuni Documenti di particolare rilevanza dottrinale in cui si trovano riferimenti espliciti al pensiero di Newman: le Lettere encicliche Veritatis splendor e Fides et ratio come anche il Catechismo della Chiesa Cattolica, che contiene non meno di quattro testi di Newman (cfr. nn. 157,1723,1778,2144) un fatto notevole, perché di solito il Catechismo cita solo autori già canonizzati.
Accanto al suo pensiero forte, gli ultimi Sommi Pontefici presentano come esemplare anche la vita di Newman. Limitiamoci a citare tre testi significativi. In un discorso del 7 aprile 1975, rivolto ai partecipanti di un Simposio accademico Paolo VI disse: Newman, «che era convinto di essere fedele tutta la sua vita e con tutto il suo cuore votato alla luce della verità, diventa oggi un faro sempre più luminoso per tutti quelli che sono alla ricerca di un preciso orientamento e di una direzione sicura attraverso le incertezze del mondo moderno – un mondo che egli stesso profeticamente aveva preveduto».
In una lettera del 14 maggio 1979, indirizzata all’Arcivescovo di Birmingham in occasione del Centenario del Cardinalato di Newman, Giovanni Paolo II scrisse: «L’elevazione di Newman a Cardinale, come la sua conversione alla Chiesa cattolica, è un avvenimento che trascende il semplice fatto storico e l’importanza che ciò ha avuto per il suo Paese. I due eventi hanno inciso profondamente nella vita della Chiesa molto al di là dei confini dell’Inghilterra. Il significato provvidenziale e l’importanza di questi eventi per la Chiesa in generale sono stati più chiaramente compresi nel corso di questo nostro secolo. Lo stesso Newman, con visione quasi profetica, era convinto che egli stava lavorando e soffrendo per la difesa e la promozione della causa della religione e della Chiesa non solo nel periodo a lui contemporaneo ma anche per quello futuro. La sua influenza ispiratrice di grande maestro della fede e di guida spirituale viene percepita sempre più chiaramente proprio nei nostri giorni».
Il Cardinale Joseph Ratzinger, ora Benedetto XVI, disse in una conferenza tenuta nel 1990, parlando del suo incontro con New-man nel Seminario di Frisinga: «La dottrina di Newman sulla coscienza divenne per noi il fondamento di quel personalismo teologico, che ci attrasse tutti con il suo fascino. La nostra immagine dell’uomo, così come la nostra concezione della Chiesa, furono segnate da questo punto di partenza. Avevamo sperimentato la pretesa di un partito totalitario, che si concepiva come la pienezza della storia e che negava la coscienza del singolo. Goering aveva detto del suo capo: “Io non ho nessuna coscienza. La mia coscienza è Adolf Hitler”. L’immensa rovina dell’uomo che ne derivò, ci stava davanti agli occhi. Perciò era un fatto per noi liberante ed essenziale da sapere, che il ‘noi’ della Chiesa non si fondava sull’eliminazione della coscienza, ma poteva svilupparsi solo a partire dalla coscienza. Tuttavia proprio perché Newman spiegava l’esistenza dell’uomo a partire dalla coscienza, ossia nella relazione tra Dio e l’anima, era anche chiaro che questo personalismo non rappresentava nessun cedimento all’individualismo, e che il legame alla coscienza non significava nessuna concessione all’arbitrarietà»[8].
Nel famoso Biglietto-Speech, pronunciato in occasione del ricevimento della bolla di nomina a Cardinale, Newman, guardando alla sua vita passata, confessò: «Nel corso di lunghi anni ho fatto molti sbagli. Non ho nulla dell’alta perfezione che si riscontra negli scritti dei santi, nei quali non ci possono essere errori; ma credo di poter affermare che in tutto ciò che ho scritto ho sempre perseguito nobili intenti, non ho cercato fini personali, ho tenuto una condotta ubbidiente, mi sono dimostrato disponibile a essere corretto, ho temuto l’errore, ho desiderato servire la santa Chiesa e ciò che ho raggiunto lo devo alla misericordia di Dio»[9]. Queste parole mostrano l’umiltà propria soltanto di un vero uomo di Dio.
Tutta la vita di Newman fu dedicata al servizio della verità e alla lotta contro il liberalismo religioso e morale (da non confondersi con il liberalismo politico), che considerava il più subdolo nemico della fede. Ebbe uno spiccato senso della vicinanza di Dio, valorizzò pienamente la ragione e le capacità naturali dell’uomo, compì il suo dovere con grande competenza e dedizione, amò la Chiesa e toccò la coscienza e il cuore di tantissime persone di ogni ceto sociale. Nei suoi ultimi anni condusse una vita di preghiera e di raccoglimento ancora più intensa. Per la fedeltà alla chiamata di Dio dovette sopportare innumerevoli sofferenze che resero più nobili e più carichi di attrattiva perfino i tratti del suo volto.
Il quotidiano londinese «The Times» pubblicò il giorno seguente la morte di Newman, avvenuta l’11 agosto 1890, un lungo elogio funebre che terminava con le seguenti parole: «Di una cosa possiamo essere certi, cioè che il ricordo di questa pura e nobile vita durerà e che […] egli sarà santificato nella memoria della gente pia di molte confessioni in Inghilterra […]. Il santo che è in lui sopravvivrà».
Ci auguriamo che questa raccolta di studi contribuisca a far conoscere – anche per taluni aspetti fino a oggi forse meno noti -una figura d’uomo e di pensatore, capace di illuminare, con il rigore della sua ricerca e la santità della sua vita, i discepoli di Cristo e tutti gli uomini di buona volontà; e che possa perciò concorrere ad alimentare attorno a Newman una rinnovata stagione di indagini e di ricerche, e innanzitutto l’abito mentale di un logos che si fa dialogo, di cui si avverte oggi più che mai la necessità e l’urgenza.
Ringraziamo infine tutti coloro che hanno contribuito alla pubblicazione di questi Atti: in particolare il Magnifico Rettore dell’Università Cattolica, professor Lorenzo Ornaghi, che fin dall’inizio ha personalmente seguito la progettazione del Convegno, di cui qui si raccolgono i frutti, il dott. Matteo Bellatì e sr. Irene Felder, che hanno curato, con grande competenza e diligenza, la preparazione del presente volume, nonché i responsabili della casa editrice Vita e Pensiero, che con generosa disponibilità lo hanno accolto tra le loro pubblicazioni.
Prof. Evandro Botto
Direttore del Centro di Ateneo
per la dottrina sociale della Chiesa
P Hermann Geissler, F.S.O.
Direttore dell’International Centre
of Newman Friends
Milano-Roma, luglio 2009
[1] J.H. Newman, Lo sviluppo della dottrina cristiana, a cura di L. Obertello, Jaca Book, Milano 2002, pp. 344-345.
[2] Id., L’intelletto, strumento di educazione religiosa, in Scritti d’occasione e traduzioni, a cura di G. De Luca, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1975, p. 200.
[3] Id., Discorsi sul pregiudizio. La condizione dei cattolici, a cura di B. Gallo, Jaca Book, Milano 2000, pp. 374-375.
[4] Id., Sermoni su temi di attualità. Sermoni all’Università di Oxford, a cura di L. Chitarin, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2004, p. 496.
[5] Ibi, p. 499.
[6] C.S. Dessain et al. (eds.), The Letters and Diaries of John Henry Newman, XIII, Thomas Nelson, London 1963, p. 419.
[7] J. Guitton, Newman all’ora del Concilio, in «L’Osservatore Romano», 9-10 novembre 1964, p. 6.
[8] M.K. Strolz – M. Binder (eds.), John Henry Newman. Lover of Truth, a cura del Centro Internazionale degli Amici di Newman, Urbaniana University Press, Roma 1991, p. 142.
[9] J.H. Newman, My Campaign in Ireland, A. King & Co., Aberdeen 1896, p. 394.