L’Osservatore Romano, 43 (Sabato 21 febbraio 2009), p. 5.
In occasione dell’anniversario della nascita di John Henry Newman, avvenuta il 21 febbraio 1801 a Londra, può essere opportuno richiamare alcuni pensieri del grande Teologo inglese, chiamato anche “Dottore della coscienza”.
“La dottrina di Newman sulla coscienza divenne per noi il fondamento di quel personalismo teologico, che ci attrasse tutti col suo fascino. La nostra immagine dell’uomo, così come la nostra concezione della Chiesa, furono segnate da questo punto di partenza. Avevamo sperimentato la pretesa di un partito totalitario, che si concepiva come la pienezza della storia e che negava la coscienza del singolo. Hermann Goering aveva detto del suo capo: ‘Io non ho nessuna coscienza. La mia coscienza è Adolf Hitler’. L’immensa rovina dell’uomo che ne derivò, ci stava davanti agli occhi. Perciò era un fatto per noi liberante ed essenziale da sapere, che il ‘noi’ della Chiesa non si fondava sull’eliminazione della coscienza, ma poteva svilupparsi solo a partire dalla coscienza”. Queste parole pronunciate nel 1990 dall’allora Cardinale Joseph Ratzinger evidenziano l’attualità della dottrina di Newman sulla coscienza. Affermare la centralità della coscienza significa rigettare ogni forma sia di totalitarismo sia di soggettivismo: la via della coscienza non è una via della chiusura nel proprio Io, ma dell’apertura, della conversione, dell’obbedienza a Colui che è l’amore e la verità. Il cammino personale di Newman mette in evidenza il legame intrinseco tra coscienza e verità. Cerchiamo di ripercorrere brevemente le tappe più importanti che lo condussero ad abbracciare la pienezza della Verità.
Educato nella confessione anglicana, il giovane Newman fu introdotto alla lettura della Bibbia, ma praticava una religiosità dei sentimenti e “non aveva convinzioni religiose precise”. A solo quattordici anni subì la tentazione della incredulità e dell’autosufficienza: voleva essere un gentleman, ma non credere in Dio. Mentre lottava con questa tentazione, Dio bussò al suo cuore. Nelle vacanze del 1816 lesse il libro La forza della verità di Thomas Scott e fu profondamente colpito. Di seguito sperimentò la sua “prima conversione”, che considerò come una delle più grandi grazie della sua vita: si trattava di una acuta consapevolezza della presenza di Dio e del mondo invisibile. Nell’Apologia pro vita sua confessò che quest’esperienza ebbe un grande influsso sulla sua persona “isolandomi, cioè, dalle cose che mi circondavano, confermandomi nella mia sfiducia nella realtà dei fenomeni materiali e facendomi riposare nel pensiero di due soli esseri assoluti e luminosamente evidenti in se stessi, me stesso e il mio Creatore”. Cominciò a rendersi conto dell’importanza delle grandi verità cristiane: l’incarnazione del Figlio di Dio, l’opera della redenzione, il dono dello Spirito che abita nel battezzato. Nell’intimità della propria coscienza aveva percepito l’eco della voce di un Altro che lo toccava, lo affascinava e lo guidava.
Un anno dopo, Newman entrò nel Trinity College a Oxford per dedicarsi allo studio della teologia. Dopo solo tre anni fece gli esami finali e divenne poi fellow nel famoso Oriel College. In quel periodo capì che Dio lo chiamava al suo servizio e nel 1824 fu ordinato diacono. Preparandosi a quest’ordinazione, si accorse che era chiamato al servizio, che negli occhi di Dio aveva una responsabilità non solo per se stesso, ma anche per gli altri. Nel giorno dell’ordinazione diaconale scrisse nel suo diario: “Ora sono responsabile per le anime fino al giorno della mia morte”. Scoprì così la dimensione pastorale della sua vocazione e comprese che la coscienza ha una dimensione non soltanto verticale (la relazione con Dio), ma anche orizzontale (la relazione con la Chiesa, con il prossimo). Diventò così un pastore delle anime e non per caso scelse poi, come motto cardinalizio, le parole Cor ad cor loquitur: si sentì toccato dal cuore di Dio e si impegnò per toccare il cuore, la coscienza degli uomini.
Nelle vacanze del 1828 cominciò a leggere i Padri della Chiesa. Questi studi diventarono per lui la chiave per scoprire la pienezza della Rivelazione. Aveva già studiato accuratamente la Scrittura e ne conosceva grandi parti a memoria. Da quel momento gli si aprì anche il tesoro della Tradizione. I Padri ebbero un immenso influsso sul suo sviluppo. Più tardi, come cattolico, confessò: “I Padri mi fecero cattolico”. Nel 1833, insieme con alcuni amici, iniziò il Movimento di Oxford. Denunciarono il distacco della nazione inglese dalla pratica della fede e lottarono per un ritorno al cristianesimo primitivo, attraverso una solida riforma dogmatica, spirituale e liturgica. Con la pubblicazione di trattati di facile divulgazione, cercarono di penetrare nella coscienza dei fedeli. Newman si rese conto che la polemica contro il liberalismo aveva bisogno di un buon fondamento dottrinale. Fu convinto di aver trovato questo fondamento negli scritti dei Padri. Capì che la sua coscienza di fede, come quella dei suoi connazionali, aveva bisogno di un rinnovamento a partire dalla coscienza di fede dei Padri, i quali ammirava come i veri araldi della verità cristiana.
Mentre il Movimento si diffondeva, Newman sviluppò la teoria della Via media: intendeva dimostrare che la Comunione Anglicana era l’erede legittima della prima cristianità in quanto non presentava né gli errori dei protestanti né le corruzioni che pensava di vedere nella Chiesa di Roma. Ma studiando la storia del cristianesimo del quarto secolo, fece una grande scoperta: trovò rispecchiata nei tre gruppi di allora la cristianità del suo secolo – negli ariani i protestanti, nei romani la Chiesa di Roma, nei semi-ariani gli anglicani. Poco dopo lesse un articolo in cui si paragonava la posizione dei donatisti al tempo di Agostino con quella degli anglicani. Newman non poteva più dimenticare la frase Securus iudicat orbem terrarum, citata da sant’Agostino, ovvero, nella traduzione dello stesso Newman: “Il giudizio deliberato a cui finalmente tutta la Chiesa si rimette e si acquieta, è una regola infallibile”. Capiva che nella Chiesa antica i conflitti dottrinali venivano risolti non soltanto in base al principio dell’antichità, ma anche in base a quello della cattolicità: il giudizio della Chiesa intera è decreto infallibile. Perciò “la teoria della Via media era assolutamente polverizzata” ed egli intuiva che la sua coscienza, per essere veramente ecclesiale e in piena sintonia con quella dei Padri della Chiesa, doveva ancora maturare.
Intanto alcuni fedeli guidati da Newman cominciarono a convertirsi alla Chiesa cattolica. I 39 articoli, fondamento dell’anglicanesimo, sembravano loro troppo protestanti. Perciò Newman cercò di dare a tali 39 articoli un’interpretazione cattolica. Questo fu il Tract 90, uscito nel 1841 come l’ultimo e il più famoso trattato del Movimento di Oxford. Ma le autorità anglicane rifiutarono decisamente tale interpretazione. Newman decise pertanto di ritirarsi a Littlemore, un piccolo villaggio vicino a Oxford, al fine di trovare una soluzione alla sua grande questione, quella della vera Chiesa. Capiva sempre più la gravità della sua situazione. “L’unico interrogativo è questo: posso io (la domanda è personale; non: può qualcun altro, ma posso io) salvarmi nella Chiesa d’Inghilterra? Sarei io salvo, se dovessi morire stanotte? E’ un peccato mortale, per me, non passare a un’altra comunione?” In queste parole si esprime tutta la drammaticità della ricerca di Newman: la questione della verità era collegata con quella della salvezza.
Nello studio Newman iniziò a tirare le fila di una riflessione che lo accompagnava già da molti anni: se la Chiesa di Roma era nella continuità apostolica, come giustificare quelle dottrine che non sembravano far parte del patrimonio di fede della prima cristianità? Il principio dell’autentico sviluppo, che egli elaborò, gli permise di rendere ragione dei vari nuovi insegnamenti nella vita della Chiesa: i dogmi più tardi erano sviluppi autentici della Rivelazione originale. Questo argomento, decisivo per il suo futuro, egli lo ha illustrato nel suo famoso saggio su Lo sviluppo della dottrina cristiana. “Man mano che progredivo le mie difficoltà scomparivano, sicché cessai di parlare di ‘cattolici romani’ e li chiamai in tutta libertà ‘cattolici’. Prima di arrivare alla fine, risolvetti di chiedere di essere ammesso fra loro, e il libro è rimasto allo stato in cui si trovava allora, incompiuto”. Il 9 ottobre 1845 John Henry Newman abbracciò la fede cattolica e fu accolto dal beato Domenico Barberi, un passionista italiano, “nell’unico ovile di Cristo”, come scrisse in una lettera da lui inviata alla vigilia di questo giorno a numerosi amici e parenti.
Per Newman la conversione non fu una rottura, ma la conseguenza della sua “prima conversione”. Lasciare la Church of England non è stato facile per lui: amava il suo vescovo, il suo lavoro a Oxford, la sua famiglia e i suoi amici. Ma la chiamata della coscienza era più forte di ogni legame umano. Trent’anni dopo la conversione scrisse: “Dal 1845 non ho mai esitato, neppure per un solo istante, nella convinzione che fosse mio preciso dovere entrare, come allora ho fatto, in questa Chiesa cattolica che, nella mia propria coscienza, ho sentita essere divina”. Nella Chiesa guidata dal Successore di Pietro trovava la perfetta pace, anche se doveva subire tante prove e sofferenze. Veniva premiato solo tardi, quando Papa Leone XIII lo creò Cardinale nel 1879. Morì l’11 agosto 1890 a Birmingham.
Newman ha sempre ribadito la dignità della coscienza, senza cedere minimamente all’arbitrarietà o al relativismo. Ha dimostrato che la coscienza non è opposta alla Verità, ma – al contrario – è l’avvocata della medesima nel nostro cuore, è “l’originario vicario di Cristo”. In questo senso va inteso il suo famoso detto: “Senza dubbio, se fossi obbligato a introdurre la religione nei brindisi dopo un pranzo (il che in verità non mi sembra proprio la cosa migliore), brinderò, se volete, al Papa; tuttavia prima alla Coscienza, poi al Papa”.