L’Osservatore Romano CXLVI 42 (19 febbraio 2006) 9.
21 febbraio: il 205° anniversario della nascita di John Henry Newman:
Il Santo Padre Benedetto XVI con la sua prima Enciclica Deus caritas est ha invitato i fedeli a riscoprire il dono unico e fondamentale della carità. In occasione della nascita del Venerabile Cardinale John Henry Newman (21 febbraio 1801) pare opportuno richiamare alcuni pensieri della sua predicazione sulla carità, una predicazione che non ha perso niente della sua freschezza e attualità.
Fede e amore
Newman ripete spesso che siamo stati creati per amare: “In fondo amiamo perché è la nostra natura, e appartiene alla nostra natura l’amare perché Dio l’ha fatta così”. Egli sottolinea che solo l’amore può dare vero senso e pienezza alla vita. “La nostra reale e vera felicità non è conoscere, influenzare o cercare, ma amare, sperare, gioire, ammirare, venerare, adorare. La nostra reale e vera felicità sta nel possesso di quegli oggetti nei quali il nostro cuore può riposare ed essere appagato”.
Anche se Newman è cosciente della preminenza dell’amore, egli predica più frequentemente sulla fede che sull’amore. È convinto che la fede sia la strada per maturare l’amore cristiano. Fede e speranza sono due “bastoni” che ci aiutano a trovare la strada per amare e avanzare nell’amore. “La prima grazia è la fede, l’ultima l’amore; prima viene lo zelo, poi segue la tenerezza… Che possiamo imparare a portare a compimento tutte le grazie in noi; con timore e tremore, vigilanti e in continua conversione, perché Cristo viene; con gioia, gratitudine, senza timore del futuro, perché egli è venuto”.
Nel contempo l’amore è il più nobile dei doni di Dio in quanto non finisce mai. Sotto questo aspetto, come Newman dimostra nell’omelia “Fede e amore”, l’amore supera la fede e la speranza. “La fede e la speranza sono virtù proprie di uno stato imperfetto, e quando questo cessa di essere, cessano anch’esse. Ma l’amore è più grande, perché esso è perfezione. La fede e la speranza sono grazie donateci fin quando apparteniamo a questo mondo, cioè per un tempo limitato; ma l’amore è una grazia che ci viene data in quanto figli di Dio, in questo mondo o altrove, e partecipi di una redenzione che durerà per sempre. La fede non ci sarà più quando verrà la visione; la speranza scomparirà quando ci sarà la gioia del possesso; ma l’amore (così noi crediamo) crescerà sempre più per tutta l’eternità”. L’amore non avrà fine.
L’amore forma l’anima e la forza trascinante per tutte le altre virtù. “Noi crediamo alla parola di Dio perché l’amiamo; e speriamo nel paradiso ancora perché lo amiamo. Non avremmo speranza o interesse per esso se non l’amassimo; e non avremmo alcuna fiducia e confidenza nel Dio del cielo, se non avessimo alcun amore per lui”. La fede e la speranza devono pertanto essere sigillate e permeate dall’amore. Vivere di fede nel quotidiano non è sempre facile, spesso ci vuole il coraggio di essere controcorrente. Talvolta proviamo un certo disgusto per un tale impegno. A chi si domanda il perché di tutto ciò, Newman – nel discorso “Carità, l’unica cosa necessaria” – dà questa semplice risposta: “Chiaramente perché non abbiamo l’amore”.
Infine l’amore conduce alla meta del nostro pellegrinaggio terreno. Newman proclama, “che la fede può farci superare l’attrazione del mondo, l’amore ci porta dinanzi al trono di Dio; la fede ci può rendere sereni, ma l’amore ci rende felici”. L’amore genuino porta all’unità. “È l’eterna carità il vincolo di unione di tutte le cose in cielo e in terra; nella carità il Padre e il Figlio sono uno nell’unità dello Spirito Santo; per la carità gli angeli sono una sola cosa in cielo, i santi sono una sola cosa con Dio, la Chiesa è una sulla terra”. L’unità è il frutto dell’amore.
Amore per il prossimo
Il Cardinale Newman fu sempre critico nei confronti di un concetto dell’amore che rimanesse troppo teoretico e vago. Nell’omelia “Amore dei parenti e degli amici” biasima quanti parlano molto di amore ma trascurano il prossimo nei doveri di ogni giorno. Egli chiama “follia” quella di alcuni che “dichiarano con magniloquenza di amare tutta quanta la razza umana con un affetto onnicomprensivo, di esser amici di tutta l’umanità e cose simili. A che cosa pervengono queste vanagloriose professioni? Che questi tali hanno certi sentimenti di benevolenza verso il mondo – sentimenti e niente più – niente più che sentimenti instabili, la mera prole di una immaginazione assecondata, i quali vengono alla luce soltanto quando le loro menti sono sovreccitate e, senza fallo, vengono loro meno nell’ora del bisogno. Questo non è amare gli uomini, non è altro che cianciare di amore”.
L’amore genuino per l’umanità si dimostra nel compimento di atti concreti, cominciando col prossimo, di cui conosciamo bene i doni e i limiti, i meriti e gli errori. “Il vero amore per l’uomo deve provenire dalla pratica, e pertanto, deve cominciare con l’esercitarsi verso gli amici che ci stanno intorno, altrimenti non avrà alcuna esistenza. Cercando di amare i nostri congiunti ed amici, sottomettendoci ai loro desideri, anche se contrari ai nostri, sopportando le loro infermità, vincendo la loro occasionale riottosità con la gentilezza, soffermandoci sui loro meriti principali e cercando di imitarli; è così che si forma nel nostro cuore la radice della carità, la quale, anche se piccola dapprincipio, può, come il seme di senape, alla fine perfino coprire la terra con la sua ombra”. Newman è convinto che “il culto degli affetti domestici”, cioè l’amore degli amici e dei parenti, è “la fonte di un amore cristiano più esteso”. Gli “affetti domestici”, vissuti in una comunità concreta insieme con altri, sono una scuola che richiede atti di donazione e di abnegazione, rendendo l’amore forte e perseverante.
Newman prende l’Apostolo Giovanni, che più di qualsiasi altro mise l’amore al centro della sua vita e del suo lavoro, come esempio di carità matura. “Ora cominciò egli con qualche gran fatica ad amare su vasta scala? Non direi; egli ebbe l’indicibile privilegio di essere l’amico di Cristo. Fu così che imparò ad amare gli altri; dapprima il suo affetto fu concentrato, poi si espanse. In seguito ebbe l’incarico solenne e consolante di prendersi cura della Madre del nostro Signore, la Beata Vergine, dopo la sua dipartita. Non possiamo scorgere qui, le fonti segrete del suo amore eccezionale per i suoi fratelli? Poteva egli, che prima fu favorito con l’affetto del suo Salvatore, poi cui fu affidato il compito di figlio verso Sua Madre, poteva egli essere qualcosa di diverso di un ricordo perenne e un campione (per quanto lo possa essere un uomo) di amore, profondo, contemplativo, fervido, sereno, smisurato?”.
Newman criticò duramente quelle tendenze religiose in cui predominavano i sentimenti. Ciò non vuol dire, tuttavia, che egli proclamasse o coltivasse un amore arido, al contrario. Nel discorso “Il dono della simpatia di San Paolo” presenta la maniera con cui l’Apostolo era pieno di un sincero e appassionato amore per la gente e come proprio attraverso l’amore poteva conquistare i loro cuori.
Paolo, che viveva in intima unione con Cristo, era anche pieno di un amore profondo e umano per i suoi amici e collaboratori. Egli sospirava di vederli, soffriva con loro, era profondamente addolorato per l’infedeltà di alcuni. Si distingueva per una delicata empatia che traspirava da lui attraverso la sincerità dei suoi rapporti. “In una parola, è il predicatore particolarissimo della grazia divina, ed è insieme l’amico singolare e intimo della natura umana. Rivela a noi i misteri dei decreti supremi di Dio, e al tempo stesso manifesta l’interesse più sviscerato per le singole anime”.
In una lettera al suo amico anglicano John Keble, Newman scrisse: “Il primo dovere della carità è cercare di entrare nella mente e nei sentimenti degli altri”. Questo, naturalmente, è possibile solo quando i nostri rapporti verso gli altri sono pervasi di rispetto e riverenza. “Nessuno ama veramente un altro, se non sente una certa riverenza verso di lui. Quando gli amici trasgrediscono questa sobrietà di affetto, è possibile che continuino a stare insieme per un poco, ma essi hanno rotto il vincolo dell’unione. È il rispetto reciproco che rende durevole l’amicizia”. Il rispetto appartiene all’essenza dell’amore.
Amore e verità
Newman spiega la distorsione del concetto dell’amore attraverso il liberalismo religioso, ad esempio nel suo discorso “Tolleranza e errore religioso”. In tale intervento parte dalla massima universale che quando poniamo noi stessi e non Dio al centro, facilmente tendiamo ad avere atteggiamenti unilaterali. “Anche se la nostra mente fosse la più celeste possibile, amorosa, santa, zelante, energica, pacifica, tuttavia se allontaniamo per un momento lo sguardo da Lui, e guardiamo verso noi stessi, immediatamente queste eccellenti disposizioni sono soggette a estremismi e a errori. La carità diventa indifferenza, la santità viene inquinata da orgoglio spirituale, lo zelo degenera in fierezza, l’attività assorbe lo spirito di preghiera, la speranza si erge a presunzione”.
Secondo Newman, è relativamente semplice coltivare alcune virtù, particolarmente quando esse sono incanalate nello spirito del tempo. Una virtù che viene facilmente esercitata è la tolleranza nei confronti di altre persone. Molti hanno grande stima di questo nobile atteggiamento, indispensabile per la convivenza pacifica tra gli uomini, ma dimenticano le virtù riguardanti la fermezza nei principi, tendendo così a tollerare non soltanto la persona che erra, ma anche lo stesso errore. Nell’Apostolo Giovanni, l’amore rispettoso per l’uomo e il fervore per la verità sono uniti in maniera esemplare e questo è il motivo per cui Newman lo pone davanti agli occhi dei cristiani come traccia e modello. “Così il suo fervore e l’esuberanza della carità erano tanto lungi dall’interferire con il suo zelo per Dio che anzi più amava gli uomini, più desiderava di portare davanti a loro le grandi e immutabili verità a cui potevano sottomettersi, così che potessero vedere la vita, su cui una piccola debolezza li costringe a chiudere gli occhi. Egli amava i fratelli, ma li amava ‘nella verità’ (3 Gv 1). Li amava per amore della verità vivente che li aveva redenti, per la verità che era in loro, per la verità che era la misura dei loro traguardi spirituali. Amava la Chiesa con tanta onestà da esser duro con quanti le causavano disturbi. Amava il mondo con tanta saggezza da predicargli la verità; eppure, se gli uomini la rifiutavano, non li amava tanto disordinatamente da dimenticare la supremazia della verità, parola di Colui che è al di sopra di ogni cosa”. L’amore e la verità non si oppongono, ma – al contrario – si richiedono vicendevolmente: la verità senza l’amore sarebbe fredda e dura, l’amore senza verità finirebbe in un cieco sentimentalismo.
Nel suo tempo, Newman vide realisticamente che che c’erano molti che seguivano Giovanni nel suo essere amabile, ma pochi che portavano dentro di sé il suo zelo per la fede. Si lamentava che numerosi cristiani tendono ad avere idee ambigue su Dio e sulla Chiesa. Questo è il motivo – così Newman continua – per cui “essi si slacciano i fianchi e diventano effeminati; nessuna meraviglia che la loro nozione ideale di una Chiesa perfetta, è una Chiesa che lascia ognuno andare per la sua strada e rinunzia a ogni diritto di pronunciarsi su un’opinione invece che infliggere una censura contro un errore di fede”.
Questo concetto di carità, infetto dal liberalismo religioso, non può, secondo Newman, andare d’accordo con la Rivelazione. Pertanto egli afferma: “Qui si trova la nostra debolezza oggi, per questo dobbiamo pregare, che venga una riforma nello spirito e la potenza di Elia. Dobbiamo pregare Dio in modo ‘da ravvivare il suo lavoro in mezzo agli anni’; di mandarci una severa disciplina, dell’ordine di San Paolo e San Giovanni proclamando ‘la verità nell’amore’ e ‘amando nella verità’… Solo allora i cristiani avranno successo nella lotta quando … saranno amorevoli nella fermezza, nel rigore, nella santità”.
Carità e grazia
Newman fu contrario ad ogni discorso superficiale sull’amore. Disse spesso che solo coloro che pregano con fervore e si impegnano con sincerità possono crescere e maturare nel vero amore di Dio e del prossimo, perché solo con l’aiuto della grazia, infusa nei nostri cuori come seme nel battesimo, è possibile realizzare a fondo la carità.
Per questo Newman prega: “Mio Dio, tu sai più di me quanto poco io ti ami. La tua grazia permise agli occhi del mio spirito di vederti. Fu la tua grazia che rese il mio cuore sensibile alle attrattive della tua bellezza. Chi potrà far cessare l’amore ch’io porto a te, o mio Signore? O mio Dio, tutto quello che mi è più vicino di te, le cose della terra, quelle verso cui naturalmente io mi sento portato, tutto questo m’impedirà di contemplarti, se tu non mi soccorri con la tua grazia. Preserva i miei occhi, il mio cuore, da una così terribile tirannia. Spezza i lacci che tengono avvinta l’anima mia. I miei occhi siano sempre rivolti a te, e la tua adorabile visione accresca il mio ardente amore”.