Mosè tipo di Cristo

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«Il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli, un profeta pari a me; a lui darete ascolto» (Dt 18,15)

La storia di Mosè è significativa per i cristiani, non soltan­to come modello di fedeltà verso Dio, di grande fermezza d’animo, e di grande mitezza, ma pure in quanto ci offre un tipo o prefigurazione di Cristo Salvatore. Non sorse, in Israele, un profeta come Mosè, fino all’avvento di Gesù Cristo, quando la promessa del testo si adempì. «Il Signore tuo Dio», dice Mosè, «susciterà per te un profeta pari a me»: questi fu Gesù Cristo. Consideriamo come possa essere vista questa somiglianza fra Mosè e Cristo; troveremo che questa indagine è quanto mai adatta a questo tempo dell’anno.[1]

1. Primo punto. Nella storia degli israeliti, considerata nel suo complesso, possiamo vedere una prefigurazione della storia umana, al tempo della proclamazione evangeli­ca, con Mosè al posto di Cristo. Gli israeliti vivevano in una terra straniera, l’Egitto; erano schiavi sfruttati e miserabili; Dio spezzò il loro giogo, li condusse fuori dall’Egitto, dopo molti pericoli, fino alla terra promessa, il Canaan, una terra stillante latte e miele. Quanto chiaramente ciò prefigura la condizione della Chiesa cristiana! Noi siamo per natura in un paese straniero; Dio fu il nostro primo Padre, e la sua presenza era la nostra dimora: ma fummo cacciati dal para­diso per aver peccato, e ci troviamo in una terra arida, in una valle di oscurità e di ombre di morte. Siamo nati in quest Egitto spirituale, terra di stranieri. Memorie antiche e tradizioni frammentarie ci parlano di una nostra origina­ria felicità e dignità di uomini liberi. Alcune riflessioni affio­rano di tanto in tanto nella nostra mente a suggerirci che eravamo stati pensati per un destino migliore che l’essere schiavi; eppure per natura lo siamo, schiavi del demonio. Egli è il nostro despota crudele, come il faraone per gli israeliti, ma ancor peggiore, perché le sue invisibili catene diventano ogni anno più pesanti. Esse ci stringono, si accre­scono, si moltiplicano, ed estendendosi ci avviluppano sem­pre più – catene del peccato, con molti appigli, minute ma pesanti, che ci schiacciano a terra, fino a non renderci altro che servi della gleba, ingaggiati a dure condizioni, assoldati a quella spaventosa messe che è la morte eterna. Satana è talmente tiranno, che ci sembra inutile ribellarci. Se lo ten­tiamo, siamo sopraffatti dalla sua forza prepotente e dai suoi metodi drastici, e siamo resi tizzoni di inferno il dop­pio di prima; possiamo gemere e guardarci d’attorno, ma non possiamo fuggire dal suo territorio. Per natura questo è il nostro stato.

Ma Mosè guidò gli israeliti dalla casa della schiavitù alla loro terra, dalla quale i loro padri erano scesi in Egitto. Venne a loro, mandato da Dio, e, forte del potere di Dio, colpì i loro nemici crudeli, condusse loro fuori dalle terre del faraone, divise il Mar Rosso, li fece passare di là, e li fece pervenire fino ai confini di Canaan. E per i cristiani, chi è che ha fatto questo, se non l’eterno Figlio di Dio, nostro Signore e Salvatore, il cui nome noi portiamo? Egli ci ha strappati alla presa di chi era più forte di noi; per questo motivo Cristo è un secondo Mosè, e più grande del primo. Egli ha infranto il potere del demonio; egli ci guida nella nostra strada; egli ci appronta un sentiero attraverso tutte le difficoltà, cosicché possiamo procedere fino al cielo. Molti fra coloro che si sono risolti a cercare Dio ricorderanno certo quei momenti in cui la vista delle difficoltà che stavano di fronte a loro e della loro debolezza, quasi li portava a nau­fragare nel terrore. Erano allora come i figli di Israele sulla riva del Mar Rosso. Quanto impetuose sembravano le onde! Vedere oltre non si poteva; sembravano presi dai nemici come in una rete. Il faraone con i suoi cavalieri incalzava per reclamare i suoi schiavi fuggiaschi; gli israeliti si abbat­tevano terrorizzati sulla spiaggia; ogni istante portava la morte o la schiavitù più vicine. Fu allora che Mosè disse: «State calmi e vedrete la salvezza di Dio». In modo simile Cristo ha parlato a noi. Quando i nostri cuori venivano meno in noi; quando ci siamo detti: «Come sarà possibile arrivare in paradiso?»; quando abbiamo compreso quanto era desiderabile servire Dio, ma abbiamo sentito fortemente la forza della tentazione; quando abbiamo riconosciuto nei nostri cuori che Dio era santo e infinitamente adorabile, e l’obbedienza alla sua volontà quanto mai amabile e ammi­rabile, ma ricordavamo tanti nostri episodi di disobbedien­za, e temevamo che tante ripetute risoluzioni di servirlo sarebbero state infrante e spazzate via dal vecchio Adamo tanto impietosamente come altre volte, e che Satana ci avrebbe ripreso, e ciò nonostante abbiamo pregato ardente­mente Dio di salvarci, egli allora ci salvò al di là dei nostri timori, riempiendoci di meraviglia per la singolarità della nostra salvezza. Questo, dico, molti lo ricorderanno perso­nalmente. Ciò avviene per i cristiani non una volta, ma sem­pre di nuovo nella vita. Le ansietà si chiariscono, le prove si superano, le paure scompaiono. Il confidare in Cristo ci abi­lita a compiere cose superiori alle nostre forze; a vincere i nostri più insistenti peccati, a rinunciare ai nostri più fan­ciulleschi desideri. Conquistiamo noi stessi; una strada si apre per noi nell’intrico dei poteri del mondo, della carne, e del demonio; i marosi si dividono, e nostro Signore, il gran­de Capitano della nostra salvezza, ci porta oltre. Cristo è dunque un secondo Mosè più grande del primo, perché ci conduce dall’inferno al paradiso, come Mosè condusse gli israeliti dall’Egitto alla terra di Canaan.

2. Secondo punto. Cristo ci rivela la volontà di Dio, come Mosè agli israeliti. È il nostro profeta, altrettanto quanto il nostro Redentore. Nessuno fu così favorito come Mosè a questo riguardo: prima di Cristo, solo Mosè vide Dio faccia a faccia; tutti i profeti dopo di lui ne udirono soltanto la voce o ne ebbero una lontana visione. Samuele fu chiamato per nome, ma non sapeva chi lo chiamasse nell’oscurità della notte fino a che Eli glielo disse. Isaia ebbe la visione dei Serafini, e li udì gridare «Santo» di fronte al trono di Dio; ma egli non vide il paradiso, bensì una mera somiglianza del tempio terrestre, dove Dio abitava fra i giudei, mentre una nube lo riempiva. Ma Mosè in un senso vero vide Dio nel corso della sua vita; così Dio lo onorò. «Se ci sarà un vostro profeta», dice l’Onnipotente Dio, «io, il Signore, in visione a lui mi rivelerò, in sogno parlerò con lui. Non così per il mio servo Mosè: egli è l’uomo di fiducia di tutta la mia casa. Bocca a bocca parlo con lui, apparendogli e senza enigmi, ed egli guarda l’immagine del Signore». (Nm 12,6-8) E alla sua morte ci viene detto: «non è più sorto in Israele un profeta come Mosè – lui, con il quale il Signore parlava faccia a faccia». (Dt 34,10) Quando fu sul monte Sinai si dice di lui anche più espressa­mente: «Il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come un uomo parla con un altro». (Es 33,11) Sul monte ricevette da Dio la Rivelazione della Legge, e i modelli dei riti offertoriali ai quali i giudei avrebbero dovuto attenersi; e così, favorito dall’intima conoscenza dei consigli divini, quando scese, il suo volto brillava di gloria. La maestà divina riluceva in lui, tanto che il popolo non osava fissarlo: «La pelle del suo viso era diventata raggiante, perché aveva conversato con Dio. Mosè e tutti gli israeliti ebbero timore di avvicinarsi a lui»; «Quando ebbe finito di parlare a loro, si pose un velo sul viso». (Es 34,29.30.33)

Eppure, dopo tutto, favorito come era, Mosè non vide la vera presenza di Dio. La carne e il sangue non possono vederla. Anche quando Mosè era sul monte, egli era consa­pevole che la stessa pienezza della gloria di Dio rivelatagli non era che la superficie della sua infinitudine. Più egli vedeva, più profondamente e ampiamente comprendeva che ciò era quello che non vedeva. Pregò: «Se davvero ho trovato grazia ai tuoi occhi, indicami la tua via, così che io ti conosca, e trovi grazia ai tuoi occhi». E Dio disse: «Sarò pre­sente, e ti darò sicurezza». (Es 33,13.14) Mosè si sentì incoraggiato a chiedere ulteriori benedizioni; disse: «Mostrami la tua Gloria». Ciò non poté essere concesso: «Tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo». Il massimo privilegio concesso a Mosè fu quello di vedere i lembi della divina grandezza: «Il Signore scese nella nube, si fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore … Mosè si curvò in fretta fino a terra e si prostrò». (Es 34,6.8) E fu questa vista di un lembo della sua gloria, che fece così brillare il suo volto.

Ma Cristo realmente vedeva, e sempre vedeva, il volto di Dio, perché egli non era una creatura di Dio, ma il Figlio Unigenito, che è nel seno del Padre. Dall’eternità egli era con lui nella gloria, come egli stesso dice, dimorando nell’a­bisso dell’infinita grandezza dell’Altissimo. Non per qua­ranta giorni, come Mosè sul monte, ma da sempre egli era presente come il Consigliere di Dio e sua Parola, nel quale il Padre si compiace. Tale egli era da sempre; ma al tempo fis­sato egli si rivelò al mondo come suo Creatore, suo Maestro, il Rivelatore dei disegni divini, l’Intermediario, l’Effusione della gloria di Dio, e l’Immagine della sua sostanza. Né nube né immagine, né emblemi né parole, si interpongono fra il Figlio e il suo eterno Padre. Non serve linguaggio fra il Padre e lui, che è la Parola stessa del Padre, né conoscenza è impartita a lui, che per Natura dall’eternità conosce il Padre, e tutto ciò che il Padre conosce. Queste sono le sue parole, «Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare». (Mt 11,27) Ancora egli dice: «Chi vede me, vede il Padre»; (Gv 14,9) e ne dà la spiegazione quando dice, che lui e il Padre sono «una cosa sola»; (Gv 10,30) e che egli è nel seno del Padre, e può rivelarlo agli uomini, essendo sempre nel cielo, anche quando egli era sulla terra.

Su questa base, il beato Apostolo stabilisce a nostro conforto il confronto fra Mosè e Cristo; «la legge», egli dice, «fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo». (Gv 1,17) In lui Dio è pienamente e vera­mente visto, cosicché egli è nel modo più assoluto la Via, la Verità e la Vita. Tutti i nostri doveri sono riassunti nel mes­saggio che egli ci porta. Chi guarda a lui come Maestro; chi lo adora e gli obbedisce, verrà gradualmente illuminato dalla «conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo», e verrà «trasformato in quella medesima immagine, di gloria in gloria». (2 Cor 4,6; 3,18) E così avviene che uomini delle classi o caste più infime e della più modesta istruzione possono co­noscere pienamente le vie e le opere di Dio; pienamente, per quanto è possibile all’uomo, ma molto meglio e più vera­mente che il più saggio di questo mondo, al quale il Vangelo è nascosto. La religione ha un deposito di segreti meravi­gliosi che non possono essere ricevuti se non direttamente, e che riempiono di gioia quando vengono conosciuti. «Interrogami pure», dice Dio tramite il profeta, «e io ti ri­sponderò», (Gb 13,22)[2] e ti mostrerò cose grandi e portentose che tu non sai. Questo non è un vanto ozioso, ma un fatto che tutti coloro che cercano Dio troveranno vero. Singolari verità su se stessi, su Dio, sul nostro dovere, sul mondo, sul cielo e l’in­ferno, modi nuovi di vedere le cose, aperture di mente che non possono essere tradotte in parole, prospettive meravi­gliose e pensieri trascendenti la mente, profonde convinzioni capaci di ispirare gioia e pace, fanno parte della Rivelazione che Cristo, il Figlio di Dio, reca a coloro che gli obbediscono. Mosè fa grande fatica a guadagnare dal grande Dio alcuni sparsi raggi della verità, e più per suo personale conforto, che per tutto Israele; ma Cristo ha portato dal Padre per tutti noi la piena e perfetta via della vita. Così egli porta sia grazia che verità, miracolo veramente sorprendente: misericordia dalla sua liberalità, saggezza vera dalla sua pienezza.

Eppure, ahimè! Nonostante tutta questa bontà, quante persone chiamate cristiane vivono insensibili, noncuranti di tanta grazia. Guardate al mondo. L’uomo comincia la vita peccando; sciupa la prima promessa della grazia, e contami­na la sua anima; ottura i suoi sensi spirituali con atti di pec­cato: bugie e sotterfugi, intemperanze, irriverenze, impurità, balordaggini e leggerezze, dimenticanza della preghiera se non viziosità o ostinato egoismo. Quanti sono i modi con i quali l’uomo comincia a perdere la vista di Dio! Quanti di quelli che avevano cominciato bene finiscono per cadere! Presto poi dimenticano di avere realmente abbandonato Dio; ancora pensano di vedere il suo volto, anche se i loro peccati hanno iniziato a renderli cechi – come uomini addor­mentati, nei quali le immagini della realtà si animano nel sogno, sfocate e bislacche, scolorite, con ogni sorta di fanta­sie e alterazioni. Così procedono in quel sonno di peccato, più o meno profondo, talora svegliandosi, poi ricadendo, finché non li sveglia la morte. Per la generalità degli uomini solo la morte è il vero risveglio: solo allora essi tornano a vedere la verità che avevano visto prima che cominciassero a peccare, ma più chiara e più spaventosa. Ma quelli che sono puri di cuore, come Giuseppe; o i miti, come Mosè; o i fedeli fra gli infedeli, come Daniele: costoro vedono Dio per tutta la loro vita nel volto del suo eterno Figlio; e mentre il mondo si burla di loro, o cerca di sviarli con certi ragionamen­ti dalla loro reale conoscenza, essi sono come Mosè sul monte, beati e nascosti – «nascosti con Cristo in Dio», al di sopra del tumulto e degli idoli del mondo, intercedendo per esso.

3. Questo mi porta a menzionare un terzo punto di somi­glianza fra Mosè e Cristo. Mosè fu il grande intercessore, quando gli israeliti peccarono: mentre egli stava sul monte, il suo popolo si pervertì; si fabbricò un idolo, e lo onorò con feste e danze. Allora Dio avrebbe voluto escluderlo dalla terra promessa, se Mosè non fosse intervenuto. Egli disse: «Perché, Signore, divamperà la tua ira contro il tuo popolo … Desisti dall’ardore della tua ira e abbandona il proposito di fare del male al tuo popolo». (Es 32,11.12) In tal modo egli riuscì a otte­nere una tregua, e poi rinnovò la sua supplica. Egli disse al popolo: «Voi avete commesso un grande peccato; ora salirò verso il Signore: forse otterrò il perdono della vostra colpa». E al suo offeso Creatore disse: «Oh, questo popolo ha com­messo un grande peccato: si sono fatti un idolo d’oro. Ma ora, se tu perdonassi il loro peccato!». (Es 32,30-32)

Qui Mosè evidentemente adombra il vero Mediatore fra Dio e gli uomini, che sta sempre alla destra di Dio ad interce­dere per noi; ma il parallelismo è persino più stretto di quan­to sembri a prima vista. Dopo che Mosè aveva detto: «Se tu perdonassi il loro peccato», soggiunse: «E se no, cancellami dal tuo libro che hai scritto». Fu preso in parola. Osservate: pur di non vedere Israele privato della terra promessa, egli si dichiarò disposto a rinunciare alla sua porzione, e lo scambio fu accettato. Egli fu escluso, e morì in vista, ma non nel pos­sesso di Canaan, mentre il popolo vi fece il suo ingresso sotto Giosuè. Questa fu una figura di colui che doveva venire. Cristo nostro Signore morì perché noi potessimo vivere.

Acconsentì a perdere la luce della presenza di Dio, perché  noi la guadagnassimo. Con la sua croce e passione, egli espiò i nostri peccati, e acquistò per noi il perdono di Dio. D’altro lato, osservate pure come questa storia ci istruisca nello stesso tempo sulla inesprimibile distanza tra Cristo e Mosè. Quando Mosè disse: «se no, cancellami dal tuo libro», Dio non promise di accettare lo scambio, ma rispose: «Io cancellerò dal mio libro colui che ha peccato contro di me». Mosè non fu preso al posto di Israele, se non in figura. Nonostante Mosè, il popolo peccatore fu colpito e morì, (Cf. Es 32,34) anche se la sua progenie entrò nella terra promessa. E ancora, Mosè, dopo tutto, dovette soffrire per il suo peccato. Non fu ammesso nella terra di Canaan. Perché? Non nonostante il suo non aver fatto «nulla di male», come il divino Sofferente sulla croce, ma perché parlò sconsideratamente, quando il popolo lo provocò con le sue mormorazioni. Il mite Mosè fu provocato a definire gli israeliti ribelli, e lasciò sembrare di attribuirsi il potere e l’autorità che aveva ricevuto da Dio; e fu quindi punito con il morire nel deserto. Ma Cristo fu l’in­nocente Agnello di Dio, che «oltraggiato, non rispondeva con oltraggi, e soffrendo non minacciava vendetta, ma rimetteva la sua causa a colui che giudica con giustizia». (1 Pt 2,23) La sua morte è meritoria; ha realmente guadagnato il per­dono per noi.

È bene inoltre osservare come sia stata apparentemente lieve la colpa che andò così a scapito di Mosè; ciò mostra l’infinita differenza fra il migliore di una razza peccatrice e colui che fu senza peccato: la minima ombra di umana cor­ruzione costituisce un indicibile male. Mosè era il più mite degli uomini, pure fu per una improvvisa trasgressione della sua abituale mitezza che egli ebbe a soffrire; tutta la sua precedente gentilezza, tutta la sua abituale umiltà, non gli servirono. Non erano qualcosa di meritorio e di spendi­bile, perché non erano altro che il suo dovere. Non potevano fare da compensazione neppure per un solo peccato, per quanto lieve. Così vediamo come sarebbe per noi se Dio fosse drastico nel tener conto degli errori; e così, d’altra parte, vediamo come santo e puro in sommo grado deve essere quel Salvatore, la cui intercessione è meritoria, e che ha allontanato da noi l’ira di Dio. Nessuno può portarci a lui se non colui che venne da lui. Egli rivela Dio, e purifica l’uomo. Egli stesso è il nostro Profeta e il nostro Pontefice.

Si avvicina la stagione nella quale facciamo memoria della sua morte in croce: stiamo per entrare nella stagione più sacra dell’anno liturgico. Purifichiamo i nostri cuori! Rinnoviamo i nostri propositi di condurre una vita di obbe­dienza ai comandamenti, e non ci manchi la grazia di poter sigillare le nostre buone risoluzioni alla santa eucarestia, nella quale «Gesù Cristo crocefisso viene ripresentato al vivo fra noi». (Gal 3,1) È inutile fare propositi senza venire a lui per chiedere l’aiuto necessario a mantenerli: ed è inutile recarsi alla sua mensa senza propositi seri e coraggiosi; sarebbe provocare Dio a «colpirci con varie malattie e generi di morte». Ma cosa si dirà di quelli che non fanno né l’una cosa né l’altra, che non promettono obbedienza, né vengono a lui per ottenere la grazia; che peccano deliberatamente dopo aver conosciuto la verità e che sono insensibili e incu­ranti dei loro peccati passati, o li cancellano dai loro pensieri; che addirittura ci scherzano sopra, al punto di parlarne senza vergogna, e persino di vantarsene e di proporsi di peccare ancora; che pensano di pentirsi in futuro e per ora di continuare così, affidando al caso la loro riconciliazione con Dio, come se non fosse una cosa di cui preoccuparsi? Un simile modo di fare attira un giudizio più severo di tutte le piaghe d’Egitto – un giudizio al confronto del quale l’o­scurità dei sensi è luce di sole, i fulmini e la grandine cielo sereno, l’ira ventura.

Svegliatevi, dunque, fratelli miei, con la stagione, per in­contrare il vostro Dio che vi convoca dalla sua croce e dalla sua tomba. Respingete il peccato che così facilmente vi tenta, e siate santi come lui è santo. Siate pronti a soffrire con lui, se necessario, cosicché possiate risorgere con lui. Egli può ren­dere per voi dolci le cose amare, e facili le difficili, solo che abbiate in cuore il desiderio che egli così faccia per voi. Egli può cambiare la legge nel Vangelo. Al posto di Mosè, egli può darvi se stesso. Egli può scrivere la legge nei vostri cuori, e con ciò strappare il chirografo che sta contro di voi, e persi­no l’antica maledizione che la nostra natura ha ereditato. Egli ha fatto così per molti in passato. Egli fa così per molti sempre. Perché non dovrebbe farlo per voi? Perché dovreste essere lasciati fuori? Perché non dovreste entrare nel suo riposo? Perché non dovreste contemplare la sua gloria? Perché dovreste essere cancellati dal suo libro?

Beato John Henry Newman, PPS VII, 9 – traduzione di L. Chitarin, Sermoni sull Chiesa…., ESD, Bologna 2004, 727-737.


[1] Quaresima.

[2] Forse l’Authorized Version consente di porre le virgolette dopo il punto. (N.d.T.)