Gli dicono: ‘Lo possiamo’.
Mt 20,22
Queste parole dei santi Apostoli Giacomo e Giovanni furono la risposta ad una domanda molto solenne a loro diretta dal Divino Maestro. Essi agognavano, con nobile ambizione, sebbene fossero ancora senza alcuna esperienza di altissimo sapere, all’oscuro della santissima verità, essi agognavano di sedere accanto a Lui sul Suo Trono di Gloria. Non sarebbero stati soddisfatti di nulla in mancanza di quel dono speciale che Egli era venuto ad assicurare ai Suoi eletti, che, poco dopo, Egli acquistò per loro a prezzo della morte, e che ora Egli offre a noi. Essi chiesero il dono della vita eterna, ed Egli disse loro in risposta, non che l’avrebbero avuto (anche se era realmente riservato per loro), ma Egli ricordò loro quali imprese avrebbero dovuto compiere per conquistarselo. « Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato? Gli risposero: ‘Lo possiamo’ »[1]. Con questo dunque ci viene impartita una grande lezione: che il nostro dovere come Cristiani sta in questo, nel metterci, per guadagnarci la vita eterna, in imprese che non danno l’assoluta certezza del successo.
Il successo e la ricompensa eterna l’avranno coloro che persevereranno fino alla fine. Non possiamo avere alcun dubbio che le imprese di tutti i servi di Cristo saranno loro ripagate nell’Ultimo Giorno, con abbondanti frutti. Questo è un detto veritiero:-Egli ci rende assai più di quello che Gli prestiamo, e senza fallo. Ma io sto parlando di individui, di noi stessi, uno per uno. Nessuno tra noi sa per certo che egli sicuramente persevererà fino alla fine, tuttavia ognuno di noi, perché possa conquistarsi anche una minima possibilità di successo, deve avere il coraggio di rischiare. Per quanto riguarda i singoli individui, allora, è perfettamente vero che noi tutti dobbiamo certamente affrontare le imprese rischiose che mirano al cielo, senza tuttavia avere la certezza di raggiungere il successo per merito di esse. A dire il vero, questo è il significato proprio della parola « impresa », perché è ben strana impresa quella che non ha niente in sé di rischio, di paura, di pericolo, di ansietà, di incertezza. Sissignore; è proprio così; ed è in questo che consiste l’eccellenza e la nobiltà della fede; questa è la vera ragione per cui la fede si distingue dalle altre grazie, ed è onorato quale mezzo speciale della nostra giustificazione, perché la sua presenza implica che abbiamo il coraggio di affrontare un rischio.
San Paolo ci propone quest’idea più che a sufficienza nell’undicesimo capitolo della sua Epistola agli Ebrei, la quale si apre con una definizione della fede; e dopo averla definita ci dà esempi di essa, come se volesse metterci in guardia contro ogni possibilità di errore. Dopo aver citato il testo « i giusti vivranno per la fede », spiegando con ciò che parla di quello che tratta nella sua Epistola ai Romani come la fede che giustifica, egli continua: « Ora, la fede è la sostanza », cioè a dire, la realizzazione « di cose che si sono sperate, la prova », cioè, il fondamento della prova « di cose non viste ». Nella sua stessa essenza è il far diventare presente quello che è invisibile; l’agire soltanto dietro la semplice sua prospettiva, come se esso fosse invece realmente in nostro possesso; l’avventurarsi dietro di esso, il rischiare il nostro agio presente, la nostra felicità od altro bene terreno, per la possibilità di un futuro. A seguito di questo, egli dice in un’altra epistola esplicitamente: « Se poi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini »[2]. Se i morti non risorgeranno, abbiamo davvero fatto un calcolo singolarmente errato nella scelta della vita, e siamo totalmente nell’errore. E quello che è vero per la stessa dottrina fondamentalmente, è vero anche per quanto di essa ci interessa individualmente. Questo è quello che egli ci dimostra nella sua Epistola agli Ebrei, seguendo l’esempio dei Santi Antichi, che in tal modo misero a rischio la loro felicità attuale di fronte alla possibilità di un futuro. Abramo « uscì (da Ur), senza sapere verso qual paese andasse ». Egli e tutti gli altri morirono « senza aver ricevuto le promesse, ma dopo averle viste lontane nel tempo, e rimasero persuasi di quelle, e le accettarono, e confessarono che essi erano stranieri e pellegrini sulla terra ». Tale fu la fede dei Patriarchi: e nel testo sacro i giovani Apostoli, con una semplicità ignara ma generosa, rivendicarono la stessa promessa. Per quanto poco sapessero nel suo pieno valore quello che dicevano, tuttavia le loro parole erano, in qualche modo, espressione di ciò che era nascosto nei loro cuori, profeti della loro futura condotta. Dicono a Lui: « Lo possiamo ». Si vincolano, come inconsapevolmente: sono catturati da Uno più possente di loro e vengono, per così dire, abilmente fatti prigionieri. Ma, a dir vero, il loro impegno assunto senza alcun sospetto, dopo tutto, veniva assunto con tutto il cuore, anche se non sapevano bene quello che promettevano. Venne così accettato. « Potete bere dal Mio calice, ed essere battezzati con il mio battesimo? Essi dicono a Lui: Lo possiamo ». Ed Egli, senza prometter loro il cielo, dice, per risposta, con tanta grazia: Voi berrete veramente il Mio calice, e sarete battezzati con il battesimo con cui io sono battezzato ».
Sembra che nostro Signore agisca nello stesso modo verso San Pietro. Egli accettò la sua offerta di servizio, tuttavia lo avvertì di quanto poco lo stesso offerente ne capisse. L’Apostolo zelante voleva seguire subito il suo Signore, ma Questi rispose: « Dove io vado per ora tu non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi »[3]. In altra occasione il Signore esigette la promessa che Gli era già stata fatta; disse: « Tu seguimi »[4]. E allo stesso tempo gli spiegò: « In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi »[5].
Queste furono le imprese compiute nella fede e nell’incertezza dagli Apostoli. Il nostro Salvatore, in un passo del Vangelo di San Luca, vincola tutti noi alla necessità di fare con libera determinazione come loro. « Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi per portarla a compimento? Per evitare che, se getta le fondamenta e non può finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro »[6]. E poi subito soggiunge: « Così chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo »[7]. In tal modo Egli ci avvisava del sacrificio completo che dobbiamo fare noi. Noi rinunciamo a tutto per Lui, ed Egli ha il diritto di chiederci questo o quello, oppure di concederci qualche po’ di esso per un certo tempo, secondo il Suo buon volere. D’altro lato, il caso del giovane ricco, che si allontanò da Lui con gran tristezza, quando nostro Signore gli ordinò di rinunciare a tutto il suo se voleva seguirLo, è un esempio di un individuo che non aveva la fede sulla Sua parola per mettersi nell’impresa avventurosa di questo mondo per amore di quello che ha da venire.
Se, dunque, la fede ha da essere l’essenza di una vita Cristiana, e se essa ha da essere quella che ho descritto or ora, ne consegue che il nostro dovere consiste nel rischiare sulla parola di Cristo tutto quello che possediamo per quello che non possediamo, e nel farlo in maniera nobile e generosa, non, per vero, con leggerezza e in modo precipitoso, ma senza prenderci molta cura di quello che stiamo facendo, senza conoscere, né quello a cui rinunciamo, e neppure quello che andremo a guadagnarci. Incerti di quello che sarà la nostra ricompensa, incerti sull’entità del nostro sacrificio, per ogni rispetto appoggiandoci a Lui per servirLo, avendo fiducia in Lui che manterrà la Sua promessa, affidandoci a Lui che ci metta in grado di adempiere tutti i nostri propri voti, e così, rispetto ad ogni cosa, procedere senza troppa preoccupazione o ansietà per quanto riguarda il nostro futuro.
Ora oso dire che tutto quanto ho detto fino a questo momento mi sembra semplice e ineccepibile per la maggior parte di coloro che mi stanno a sentire; tuttavia, certamente, quando andrò oltre per trarre le illazioni pratiche che seguono subito dopo tutto questo, ci saranno coloro che, nel segreto del loro cuore, se non confessandolo apertamente, si tireranno indietro. La gente permette a noi, Ministri di Cristo, di continuare con le nostre prediche fin tanto che sappiamo limitarci alle verità in senso generale, fin tanto che non si vede implicata in esse e sia perciò tenuta ad agire in conformità. Allora si arresta di botto; si raccoglie in se stessa, si ritira e dice: « Non vedono questo,-oppure, non ammettono quello », e benché sia del tutto incapace di spiegare perché quello che noi diciamo non dovrebbe essere la conseguenza di quello che essa ha già ammesso, la qual cosa invece noi dimostriamo dover essere la logica conseguenza, ciò nonostante questa gente persiste nel dire che non vede il perché di questa conseguenza. Allora questa gente va in giro a cercar scuse, e dice che noi portiamo le cose troppo avanti e che siamo esagerati, e che dovremmo cercare di limitare e modificare quello che andiamo dicendo, che non teniamo abbastanza conto dei tempi, e delle stagioni, e simili banalità. Questo è quello che questa gente pretende; ed allora è stato opportunamente detto, « dove è volere è anche potere », poiché non esiste verità, quantunque assolutamente chiara alla quale gli uomini non possano sfuggire, chiudendo gli occhi; non esiste dovere, per quanto urgente, contro il quale essi non siano capaci di trovare mille e mille scuse per scansarlo, quando riguarda loro. Ed è certo che questi tali sono pronti a dire che noi spingiamo le cose troppo lontano, quando le indirizziamo troppo precisamente verso loro stessi.
Questa triste infermità degli uomini che si chiamano Cristiani, trova il suo esempio nell’argomento che sta immediatamente davanti a noi. Chi è colui che non ammette subito che la fede consiste nel mettersi in una impresa difficile sulla parola di Cristo, senza aver visto? Però, nonostante ciò, non possiamo forse chiederci molto seriamente, se gli uomini in generale, anche quelli della miglior specie, rischiano sul serio qualunque cosa sulla Sua verità?
Considerate per un istante. Ognuno di coloro che mi stanno ad ascoltare voglia porsi la domanda: quale posta ha egli puntato sulla verità della promessa di Cristo? Come verrebbe a trovarsi un tantino solo in perdita, supponendo (la qual cosa è impossibile), ma, pure supponendo che essa venisse meno? Sappiamo che cosa vuol dire giocarsi una posta in qualunque impresa audace di questo mondo. Arrischiamo la nostra proprietà in progetti che ci promettono un buon profitto; in progetti nei quali abbiamo fiducia, nei quali abbiamo fede. Che cosa abbiamo noi arrischiato per Cristo? Che cosa Gli abbiamo dato per cieca fiducia nella Sua promessa? L’Apostolo disse che egli e i suoi confratelli sarebbero stati i più infelici di tutti gli uomini, se i morti non fossero risorti. E noi possiamo attribuirci in qualsiasi misura questa fiducia? Forse, al momento presente, pensiamo di poter avere qualche speranza nel cielo. Ebbene, è questo naturalmente che perderemmo ma, dopo tutto, come potremmo trovarci in peggiori condizioni rispetto alla nostra condizione presente! Un commerciante che abbia imbarcato qualche sua proprietà in una speculazione che fallisce, non perde soltanto quello che si aspettava di guadagno, ma anche alquanto di quella sua proprietà che aveva arrischiato con la speranza del guadagno. Ed ecco il problema. Che cosa abbiamo noi arrischiato? Temo proprio che, se ci mettiamo ad esaminare la situazione, ci si accorgerà che non c’è nulla di quello che ci risolviamo a fare, nulla di quello che facciamo, nulla di quello che non facciamo, nulla di quello che evitiamo di fare, nulla di quello che scegliamo di fare, nulla di quello a cui rinunciamo, nulla di quello che perseguiamo, che non risolveremmo di fare, e faremmo, e non faremmo, ed eviteremmo, e sceglieremmo, e rinunceremmo, e perseguiremmo, se Cristo non fosse morto, e il cielo non fosse una promessa per noi. Temo davvero che la maggior parte di coloro che si chiamano Cristiani, qualunque cosa possano professare di credere, qualunque cosa possano credere di sentire, qualunque calore, e illuminazione, e amore essi possano pretendere di possedere come cosa loro propria, proseguirebbero per la loro strada quasi come fanno ora, né molto meglio, né molto peggio, se credessero che il Cristianesimo fosse una favola. Quando sono giovani essi soddisfano le loro voglie o, almeno, vanno in cerca delle vanità del mondo; via via che il tempo passa, si mettono in qualche promettente carriera di affari, o qualche altra maniera di far danaro; poi si sposano e si sistemano; e quando il loro interesse coincide con il loro dovere, sembrano essere, e si credono di essere uomini rispettabili e religiosi. Crescono attaccati alle cose così come sono; cominciano a mostrare un certo zelo nel combattere il vizio e l’errore e seguono l’idea della pace verso tutti gli uomini. È una condotta questa che, fin dove può giungere, è giusta e degna di lode. Io dico soltanto che essa non ha necessariamente nulla affatto a che fare con la religione. In essa non c’è nulla che offra una qualsiasi prova della presenza di principi religiosi in coloro che la adottano; non c’è niente che non farebbero lo stesso, anche se non avessero nulla da guadagnarci sopra, all’infuori di quello che con essa ci guadagnano ora. Ora effettivamente qualcosa ci guadagnano, possono effettivamente gratificare tutti i loro desideri presenti, sono tranquilli ed ordinati, perché è nel loro interesse e di loro gusto esserlo; ma non arrischiano nulla, non rischiano, non sacrificano, non abbandonano nulla per la fede nella parola di Gesù Cristo.
Per esempio; San Barnaba aveva una proprietà a Cipro. La vendette per i poveri di Cristo. Questo è un sacrificio che si capisce. Egli fece qualcosa che non avrebbe fatto, se il Vangelo non fosse stato vero. È chiaro che se il Vangelo non fosse stato altro che una favola (Dio non lo voglia), ma, se la fosse stata, egli avrebbe seguito una linea di condotta maldestra assai; sarebbe stato in grave errore ed avrebbe patito una perdita. Sarebbe stato come un mercante i cui vascelli fossero naufragati, oppure i cui clienti fossero falliti. L’uomo ha fiducia nell’uomo, egli ripone la sua fiducia nel credito del suo prossimo vicino, ma i Cristiani non rischiano largamente sulla parola del Salvatore, mentre questa è una cosa che devono fare. È Cristo Stesso che ce lo dice. « Procuratevi amici con la iniqua ricchezza, perché quand’essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne »[8]; cioè a dire, compratevi un interesse nel mondo che ha da venire con quella ricchezza che questo mondo usa iniquamente. Date da mangiare agli affamati, vestite gli ignudi, assistete gli ammalati, e questo si trasformerà in « borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli »[9]. Così, io dico, le opere di carità sono un’impresa di rischio intelligibile e una prova evidente di fede.
E così ancora, colui che, quando ha buone aspettative dal mondo, rinuncia alla promessa di ricchezza o di superiorità sugli altri, al fine di essere più vicino a Cristo, al fine di procurarsi un posto nel Suo tempio, al fine di avere maggiori opportunità per la preghiera e la lode di Dio, costui fa un sacrificio.
Oppure, colui il quale, a causa di una nobile lotta per cercare la perfezione, rimanda ogni desiderio degli agi mondani ed è, come Daniele o San Paolo, molto indaffarato e in gran fatica, benché con un cuore solitario, anche costui rischia qualche cosa sulla certezza del mondo che verrà.
Oppure, colui che, dopo essere caduto nel peccato, si pente tanto nelle opere, come nelle parole e si mette un giogo sulle spalle; si sottopone alla punizione; è severo sulla sua carne; si priva anche dei piaceri innocenti, o si espone alla pubblica vergogna, anche costui dimostra che la sua fede consiste nella realizzazione di cose che ha sperato, il pegno di cose non viste.
Oppure, ancora; colui che riesce soltanto a pregare contro quelle cose dietro le quali corrono i molti, e riesce ad abbracciare quello da cui si ritrae naturalmente il suo cuore; colui che, quando la volontà di Dio sembra essere indulgente verso i mali del mondo, mentre egli li depreca e ciò nonostante riesce a vincere se stesso e a dire contro il cuore: « Sia fatta la Tua volontà »; anche costui non è senza il suo sacrificio. Oppure, colui il quale, di fronte alla prospettiva della ricchezza, prega con tutta sincerità Dio che non lo faccia mai diventare un ricco: oppure colui il quale si aspetta di arrivare ad una posizione di grande rilievo e prega, invece, seriamente, augurandosi di non arrivarci mai; oppure colui che gode la compagnia di amici o di parenti ed acconsente di tutto cuore che gli siano tolti quando tutto è ancora in dubbio, colui che può dire: « Prendili pure, se tale è la Tua volontà, a Te li cedo, a Te li affido », ed è così disposto ad essere preso sulla propria parola; anche costui rischia alquanto, ed è accettato.
Un uomo di questo genere è preso in parola, anche se, forse, non comprende quello che dice, ma viene accettato perché intende dire alquanto e rischia molto. I cuori generosi, come Giacomo e Giovanni, o Pietro, spesso parlano ampiamente e con piena fiducia prima ancora di esprimere quello che faranno per Cristo, non ipocritamente e tuttavia nell’ignoranza. Per amore della loro sincerità essi vengono presi in parola come per ricompensarli, sebbene abbiano ancora da imparare quanto sia seria quella parola che dicono. « Dicono a Lui: Lo possiamo »; e questo loro voto è registrato in cielo. Questo è lo stesso caso che capita a noi in molte occasioni della nostra vita.
Prima, alla Cresima; quando promettiamo quel che per noi fu promesso al nostro Battesimo, però senza essere in grado di capire tutto quanto promettiamo, ma piuttosto fidando in Dio che ce lo riveli a poco a poco, e ci dia la forza che ci occorre, secondo il volgere del nostro giorno. Ancora la stessa cosa per quelli che prendono gli Ordini Sacri. Anch’essi promettono non san bene che cosa, si impegnano e non sanno bene quanto profondamente, si privano delle vie del mondo e non sanno quanto intimamente; può darsi che scoprano che debbono tagliarsi la mano destra, sacrificano il desiderio degli occhi e le provocazioni del cuore ai piedi della Croce, mentre avevano pensato, nella loro semplicità, che non sceglievano altro che la vita facile e tranquilla degli « uomini semplici che abitano nelle tende ». E così, ancora una volta, in varie maniere, le circostanze dei tempi inducono gli uomini, in certi periodi della vita, a prendere questa strada o quella, per amore della religione. Non sanno verso dove vengono trasportati; non vedono la fine del loro percorso; non sanno niente più di questo: che è giusto fare quello che stanno facendo; odono un sussurro dentro di loro, che li rende sicuri, come fece con i due santi fratelli, che qualunque cosa comporti in un tempo futuro la loro condotta presente, essi, con la grazia di Dio, sapranno esserne all’altezza. Quei benedetti Apostoli dissero: « Lo possiamo » e, a dire la verità, essi furono all’altezza di fare e di soffrire come avevano detto. San Giacomo fu dotato della forza di restare saldo in se stesso fino alla morte, la morte del martirio, trucidato di spada, a Gerusalemme. San Giovanni, suo fratello, dovette sopportare ancora di più, morendo per ultimo fra tutti gli Apostoli, come San Giacomo era stato il primo. Dovette sopportare prima la perdita del fratello, poi quella degli altri Apostoli. Dovette sopportare un lungo corso di anni in solitudine, in esilio e in debolezza del corpo. Dovette subire l’esperienza della desolazione di una vita solitaria, quando coloro che egli amava erano stati chiamati lontano da lui. Dovette vivere tutto chiuso nei suoi pensieri, senza un solo amico intimo, con attorno a sé soltanto quelli che appartenevano ad una generazione più giovane. A lui furono richiesti dal suo benigno Signore, come pegno della sua fede, tutti quelli che il suo occhio amava e con i quali il suo cuore intratteneva comunione spirituale. Egli fu simile ad uno che deve trasferire tutte le sue cose in un paese lontano, uno che volta per volta, e pezzo dopo pezzo, manda le sue cose lungi da sé, fino a che la dimora dove abita è pressoché nuda. Mandò i suoi amici avanti nei loro viaggi, mentre egli stesso rimaneva indietro, affinché potessero esserci in cielo coloro che potessero avere un pensiero per lui, che potessero stare in guardia per lui e riceverlo quando il suo Signore lo chiamasse. Mandò davanti a sé anche altri, ancora più volontari pegni e impegni della sua fede,-il cammino di una vita fatta di abnegazione, un grande zelo nel mantenimento della verità, digiuni e preghiere, grandi fatiche per l’amore, una vita vergine, le percosse dei pagani, la persecuzione e l’esilio. Un Santo di tale grandezza, poteva ben dire, alla fine dei suoi giorni: « Vieni, Signore Gesù! », come dicono coloro che sono stanchi della notte e aspettano il mattino. Tutti i suoi pensieri, tutte le sue contemplazioni, i suoi desideri e le sue speranze furono accumulati nel mondo invisibile e la morte, quando venne, gli riportò la visione di tutto quello che aveva adorato, tutto quello che aveva amato, quello con cui aveva avuto comunicazione spirituale nei lunghi anni che erano passati via. Poi, quando fu riportato alla presenza di quello che aveva perduto, come ne avrebbe rivissuto il ricordo, come sarebbero ritornati in vita i pensieri intimi da tanto tempo sepolti! Chi è che avrà l’ardire di descrivere la beatitudine di coloro i quali trovano che tutti i pegni della loro fede vengono loro restituiti intatti, tutte le loro imprese spirituali soddisfatte in abbondanza ed oltre ogni misura?
Ahimè, fratelli miei, che peccato che noi, di questo alto spirito soprannaturale non ne possediamo più! Come può essere che siamo così soddisfatti delle cose così come sono,-che siamo così desiosi di essere lasciati in pace per goderci questa vita,-che troviamo tante scuse per scansarci se qualcuno insiste nel ricordarci la necessità di mirare a qualcosa di più alto, il dovere di portare la nostra Croce, qualora volessimo guadagnarci la Corona del Signore Gesù Cristo?
Lo ripeto. Che cosa sono le nostre imprese avventurose e i nostri rischi a fronte della verità della Sua parola? Poiché Egli dice chiaramente: « Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna. Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi primi »[10].
PPS IV, 20 “The Ventures of Faith”
Traduzione italiana: Sermoni anglicani, Jaca Book 1981, pp. 251-260
[1] Mc 10,38
[2] 1 Cor 15,19
[3] Gv 13,36.
[4] Gv 21,22.
[5] Gv 21.18.
[6] Lc 14,18.
[7] Lc 14,33.
[8] Lc 16,9.
[9] Lc 12,33.
[10] Mt 19,29-30.