27 marzo 1836
Ogni anima che vive o è vissuta sulla terra ha una esistenza sua propria: nell’eternità e non nel tempo soltanto; nel mondo invisibile e non unicamente in quello visibile; non solo durante la vita mortale, ma sempre, dal momento della sua creazione; che sia unita ad un corpo di carne o che sia separata da esso.
Nulla è più difficile del rendersi conto che ogni uomo possiede un’anima individuale, che ogni singolo di quegli uomini che a milioni vivono o sono vissuti è un essere così completo e indipendente in se stesso, da potersi dire, a buon diritto, l’unico in tutto l’universo. Mi spiego: il comandante di un esercito si rende forse conto della realtà a cui abbiamo accennato quando invia uri distaccamento di soldati ad un’azione pericolosa? Non voglio dire che egli faccia male a dare un ordine del genere; considero solo il fatto in sé: il generale pensa di solito che ognuno di quei poveri uomini ha un’anima, un’anima altrettanto cara e preziosa quanto la sua? O non è più verosimile che consideri il distaccamento collettivamente, come un insieme, come parte di un tutto, quasi si tratti di ingranaggi di una grande macchina, e solo il complesso abbia per lui una individualità, e non il singolo, che contribuisce a formarlo?
L’esempio mostra che cosa io intenda e quanto valga per tutti la constatazione che ci manca un!idea esatta della precisa individualità dell’anima umana. Noi classifichiamo gli uomini come massa, quasi si trattasse di mettere assieme pietre per costruire un edificio. Si pensi al nostro modo solito di vedere la storia, la politica, il commercio e altre manifestazioni consimili, e si dovrà riconoscere che dico il vero… Quando parliamo della grandezza della nazione, cosa vogliamo dire? Di fatto vogliamo dire che un numero ben definito di individui praticamente immortali collegati tra loro ha per alcuni anni l’opportunità di influire sul mondo intero, così da assicurarsi il dominio di esso e da acquistare potere e ricchezza. Breve è di solito il tempo durante il quale questi uomini appaiono e vengono denominati come complesso unico. Eppure noi, data la nostra abitudine di basarci sulle impressioni sensibili, accettiamo il modo di pensare corrente, lasciando da parte l’idea che si possa trattare di qualcosa d’altro. E quando questo o quell’uomo muore, dimentichiamo che si tratta del passaggio di un’essere immortale allo stato invisibile e che il complesso, quale siamo abituati ad immaginarlo, non è che apparenza, mentre le vere realtà sono i singoli individui che lo compongono.
A tutto ciò noi non si pensa affatto; e benché sempre nuovi uomini muoiano, mentre altri sempre nuovi vengano alla luce, di modo che l’insieme è caratterizzato da un continuo mutare, dimentichiamo quelli che scompaiono e restiamo insensibili verso tutti quelli che prendono il loro posto: la cosiddetta nazione soltanto ci appare immutata e gli individui sembrano esistere solo in essa e per essa, come le pietre in un mucchio o le foglie su un albero.
Proviamo ora ad osservare una città popolosa: la gente si pigia nelle strade a piedi o in vettura; i negozi sono affollati e così pure vedremmo che lo sono le case, se potessimo gettarvi uno sguardo. Tutto appare pieno di vita e dà un’ impressione di splendore, di bellezza, di opulenza e di energia. Ma qual’ è la verità? La verità è che ogni essere in questo grande via vai fa centro in se stesso, mentre tutto quello che lo circonda non è che un’ombra dove si può trovare solo «vanità e mutile affanno» (Eccle., 4, 4). Ciascuno ha le sue speranze e i suoi timori, i suoi giudizi, i suoi desideri e i suoi fini: ciascuno è tutto, per sé, mentre i circostanti, in realtà, non vogliono dir nulla. Nessuno, dal di fuori, può entrare realmente nell’uomo, entrare cioè nella sua anima immortale. Ognuno di noi deve vivere da solo per l’eternità, dal momento che cela in sé un insondabile, sconfinato abisso di esistenza; e la scena su cui recita per brevi attimi la sua parte non è più di un raggio di sole che lambisce la superficie dell’abisso. Quando leggiamo la storia troviamo racconti di grandi eccidi e massacri, di pestilenze, carestie, conflagrazioni, e via di seguito. Ma, anche qui, siamo abituati a considerare masse di uomini come individualità a sé stanti: giungiamo difficilmente al pensiero che quelle moltitudini sono composte di anime immortali.
Parlo di anime immortali. Ogni uomo non solo ebbe un’anima mentre viveva sulla terra, ma la possiede tuttora. L’anima, al momento fissato, è tornata a Dio creatore e non è perita, ma vive alla sua presenza. Tutti quei milioni e milioni di esseri umani che sono venuti sulla terra e, gli uni dopo gli altri, hanno visto la luce del sole, esistono in questo stesso istante tutti insieme. Di ciò, penso, non abbiamo una visione troppo esatta. Tutti gli abitanti di Canaan uccisi dai figli di Israele, per esempio, tutti ed ognuno, si trovano proprio adesso dove Dio ha dato loro una dimora. Ognuna di queste anime oggi vive. Come ebbero tutte i loro pensieri e i loro sentimenti, così li hanno anche adesso. Avevano gusti e occupazioni personali; si guadagnavano le cose stimate desiderabili e ne godevano; e ancora esse vivono da qualche parte, e certo quello che fecero durante la vita mortale ha un’influenza sul loro presente destino. Vivono e attendono il giorno in cui le nazioni dovranno comparire davanti a Dio.
Così, anche tutti coloro i cui nomi vediamo scritti sulle tombe, nelle chiese e nei cimiteri, tutti gli scrittori di cui vediamo nomi ed opere nelle biblioteche, tutti i maestri che vicino e lontano elevarono i grandi monumenti di cui stupisce il mondo, tutti vivono, presenti davanti a Dio. Lo stesso vale per gli scomparsi che avevamo visto coi nostri occhi. Non parlo dei conoscenti e degli amici, di cui è impossibile dimenticarsi, ma di coloro che abbiamo visto qualche volta: pure essi vivono, non sappiamo dove, ma vivono. Forse conserviamo ancora il ricordo di qualche persona vista nella nostra infanzia; ora la cosa ci appare quasi in un sogno, ci sembra un’accidentalità che passa e scompare, un fenomeno di breve durata, paragonabile alla pioggia che cade o al vento che soffia, ad un acquazzone o ad un temporale, tutte realtà queste, che non esistono più, una volta sperimentate. Ma se, anche una volta sola, abbiamo visto un figlio di Adamo, abbiamo visto Un essere immortale, che non fugge via come il soffio del vento o la luce del sole, ma vive, vive anche ora, o in un luogo di benedizione o in un luogo di pena.
Riflessioni del genere, riguardo agli altri, non ci sono certo familiari; eppure non possiamo dire che siano errate. Ma c’è di più. Esistono due posizioni spirituali assai diverse l’una dall’altra (l’una posta sotto lo sguardo benevolo di Dio, l’altra sotto il suo sdegno, l’una diretta alla felicità eterna, l’altra all’eterna sofferenza) a cui le anime dei viventi possono appartenere. Ciò è vero per i morti ed è altrettanto vero .per i vivi. Tutti tendono all’una o all’altra direzione: per nessuno esiste uno stato intermedio o di neutralità. Stando invece a quello che il mondo esterno ci permette di vedere, sembrerebbe che tutti si trovino in una posizione intermedia comune. Ciò nonostante, benché gli uomini sembrino uguali e sia impossibile dire da che parte uno si trovi, dal punto di vista di Dio esistono due e solo due classi di uomini, ciascuna delle quali ha caratteristiche e destini così diversi tra loro come la luce e le tenebre. È il caso tanto di quelli che vivono ancora sulla terra, quanto, e ancor più, di quelli che sono passati alla vita invisibile.
Certo non si dà idea più sconcertante di quella che tutti coloro che vivono o sono vissuti siano destinati ad una felicità o ad un tormento senza fine: è troppo alta perché possiamo afferrarla. Resta senza dubbio fuori dalla nostra comprensione il fatto che tutti noi, pur vivendo ora insieme come parenti, amici, soci e vicini, pur essendo legati da vincoli di familiarità o di intimità, pur avendo rapporti di ogni genere, scambi di pensiero e di favori e influssi intellettuali o pratici vicendevoli, dobbiamo venir separati da un abisso invisibile e insondabile. Non certo un abisso impossibile a valicarsi quaggiù, grazie a Dio! Non intransitabile, finché siamo in questo mondo, ma che ciò nonostante esiste, di modo che ogni uomo che noi incontriamo Dio lo vede con sguardo infallibile o da una parte o dall’altra e secondo il suo volere lo destina alla gioia o al tormento.[1] È quello che dice il Signore riferendosi al giorno del giudizio: «Allora due saranno nel campo: l’uno sarà preso e l’altro lasciato; due donne faranno andare la mola: l’una sarà presa e l’altra lasciata» (Mt., 24, 40).
Quale benedizione sarebbe se realmente comprendessimo tutto ciò! Quale cambiamento si produrrebbe nei nostri pensieri – salvo il caso di una depravazione completa – se capissimo cosa siamo e dove siamo: esseri, cioè, responsabili, messi alla prova, con Dio per amico e il Demonio per nemico, e già incamminati o al cielo o all’ inferno. Cerchiamo dunque di renderci conto che abbiamo un’anima e preghiamo Iddio che ce ne doni la capacità. Cerchiamo di svincolare i nostri pensieri e le nostre opinioni dalle cose visibili, per guardarle nella stessa luce in cui le guarda Iddio e per giudicarle come egli le giudica. Pochi anni ancora e saremo in grado di sperimentare direttamente quel che ora siamo chiamati a credere. Cosa penseremo allora del mondo che abbiamo lasciato? Come ci appariranno miseri i suoi fini più alti, come pallidi i suoi piaceri più raffinati, di fronte ai fini eterni e alle gioie infinite di cui le nostre anime saranno capaci!
estratto dal sermone: The Individuality of the Soul in: PPS vol. IV, 6, pp. 80-92
[1] Si noterà come il pensiero di Newman è perfettamente ortodosso sul problema difficile della prescienza e della predestinazione divina, perché tiene conto della collaborazione umana. Però si ha l’impressione che in questo discorso, pronunciato nel 1836, quando l’A. era ancora lontano dalla conversione alla fede cattolica, si esprima in un modo che sembra risalire a quella tendenza rigorista, che è stata la base, della sua educazione religiosa di adolescente (N. d. T.).