5 aprile 1835
Quando Agar fuggì via dalla sua padrona e si ritirò nel deserto, ricevette la visita di un angelo che la rimandò indietro. Insieme però con l’implicito rimprovero della sua impazienza, l’angelo le fece una promessa per darle incoraggiamento e conforto. Nel gioco degli umilianti e gioiosi pensieri destati in lei dall’apparizione, Agar riconobbe la presenza del Signore, che sempre si manifesta ai suoi servi sotto il duplice aspetto della severità, perché egli è santo, e della consolazione, perché è pure ricco in misericordia. E Agar pose al Signore che le aveva parlato il nome di: « Dio che mi hai veduto » (Gn., 16, 13).
Prima, della venuta di Cristo erano pochi gli uomini che godevano anche solo della momentanea consapevolezza della cura di Dio per il singolo; la maggior parte conosceva esclusivamente la sua Provvidenza universale nel corso degli eventi umani. Sotto questo aspetto anche la Legge era difettosa, benché con abbondanza testimoniasse che Dio è un essere vivo, onnisciente e pronto alla ricompensa. Nei confronti del Vangelo le mancava la chiara manifestazione delle relazioni reali che legano l’anima al suo Creatore, indipendentemente da qualsiasi altra realtà mondana. Nel Nuovo Testamento l’esistenza di una particolare considerazione riservata a ciascuno dall’Onnipotente è rivelata con chiarezza. Della Chiesa era stato predetto: «Tutti i figli tuoi, ammaestrati dal Signore, darò a te, e abbondanza di pace alla tua figliolanza » (Is., 54, 13). Quando l’eterno Figlio di Dio venne sulla terra nella nostra carne, gli uomini poterono vedere il loro invisibile Creatore e Giudice. Egli si mostrò non più attraverso le primordiali forze della natura o nel labirinto degli eventi umani, ma come uguale a noi: «Quel Dio che disse: Dalle tenebre splenderà la luce, egli stesso lampeggiò nei nostri cuori a illuminare la conoscenza della gloria di Dio rifulgente sul volto di Cristo » (2 Cor., 4, 6), sotto forma sensibile, cioè, come un essere dotato di visibile concretezza. Si trattava proprio, in un certo senso, di rivelazione faccia a faccia.
Rimane sempre difficile, nonostante la rivelazione contenuta nel Vangelo, impadronirsi dell’idea di questa particolare provvidenza di Dio. Se ci lasciamo sospingere dalla corrente del mondo, vivendo come gli altri, raccogliendo qua e là le nostre cognizioni religiose, con tutta verosimiglianza ci sarà difficile o anche impossibile capire con esattezza la natura di una Provvidenza personale. Che Iddio onnipotente agisca nell’universo, questo sì lo possiamo concepire. Ma non possiamo invece afferrare la meravigliosa verità che egli non perde di vista nessuno e si preoccupa di ogni singolo uomo… « Il mio cammino e il mio giacere tu scruti, e tutte le mie vie ti son note » (Sal. 138, 3). Non possiamo arrivare a prendere pieno possesso di questa grande realtà, che Iddio vede quello che ci accade in questo preciso istante e che l’uno soccombe mentre l’altro si innalza per sua silenziosa e invisibile disposizione. Ci serviamo, è vero, delle preghiere della Chiesa, e supplichiamo non per gli uomini in generale soltanto, ma anche per le autorità, per i rappresentanti del popolo, e così via sino a pregare per i singoli ammalati della nostra parrocchia. E, nonostante tutto, il fatto dell’onniscienza di Dio stenta a diventare cosa nostra. Pur sapendo che egli è in cielo., dimentichiamo che è pure sulla terra. Ecco la ragione per cui la massa degli uomini resta così fredda. Cadiamo in peccato, perché dimentichiamo di trovarci alla presenza di Dio, perché non comprendiamo o, meglio, non crediamo che egli vede, ascolta, ha presente ogni cosa. Quelli che soffrono per qualche prova si trovano spesso nelle medesime condizioni. Il mondo li abbandona ed essi disperano, perché non si rendono conto dell’amorevole presenza di Dio e non possono d’altronde trovare conforto in un’idea, che per loro non è palpitante realtà, ma puro modo di dire. Per questo Agar, quando ricevette nel deserto la visita dell’Angelo, si rivolse al Signore con l’espressione: « Tu Dio che mi hai veduto! » (l.c.). Per lei, colpita dal dolore e dall’incertezza, fu come venire a conoscenza di una verità nuova. Oggi il caso è il medesimo. La gente parla in generale della bontà di Dio, della sua benevolenza, compassione e longanimità, concepite come l’acqua di una sorgente che inonda il mondo, come la luce del sole, non come l’azione costante di una intelligenza viva che conosce l’oggetto delle sue cure e si rende conto delle sue azioni. Di conseguenza, quando qualcuno incontra delle difficoltà, l’unica cosa che sa dire è: Tutto finirà per il meglio; Dio è buono; ed altre espressioni simili. È evidente che si tratta di una pura forma, di un conforto incapace di alleviare il dolore di chi non è abituato a vedere Dio come 1′ Essere misericordioso, disposto a pensare a ciascuno individualmente, di chi è abituato a concepirlo solo come Provvidenza universale, che opera attraverso leggi del tutto generali. Ad un certo punto il vero concetto di Dio può forse aprirsi una strada nell’anima di queste persone, come nelcaso di Agar. Un sentimento ispirato da Dio penetra allora nel cuore afflitto e lo rende consapevole, in una maniera fino a quel momento insospettata, che Dio è vicino. Sorpreso da un simile fatto, che costituisce per lui un’assoluta novità, qualcuno può passare allora dall’apatia all’estremo opposto e pensare di essere favorito più di qualsiasi altro dall’amore di Dio. Ciò non accadrebbe se si avesse maggiore familiarità con la Rivelazione. La Bibbia infatti insegna che Dio ama in modo speciale tutti gli uomini, uno per uno. Chi conosce il Vangelo non ha bisogno di molte prove per convincersi che la principale caratteristica della bontà di nostro Signore è la tenerezza e l’attenzione verso tutti, caratteristica che dovrebbe, del resto esser propria anche dell’amore perfetto degli uomini tra loro. Eppure, per la vastità e la complessità dell’universo umano, ove il Creatore rimane invisibile, difficilmente l’immaginazione arriva ad attribuire queste doti all’amore di Dio, anche quando la ragione ne è convinta e c’è in noi il desiderio di credervi. Saremmo tentati di dire che la Provvidenza si rivela solo collettivamente; che non si cura dei singoli; che premia i buoni e punisce i cattivi in base ai loro meriti oggettivi e non a considerazioni personali. Come potrebbe Dio, che è la santità stessa, amare questo o quello come individui, amarci uno per uno, senza venir meno alla sua stessa perfezione? Ed anche ammesso che 1′ Essere supremo amasse tutti con speciale predilezione, come potrebbe la sua presenza, in tal caso, esercitare lo stesso profondo fascino che è proprio dell’affetto di un amico umano?… Davvero meravigliosa e adorabile è la condiscendenza con cui Iddio viene incontro alla nostra debolezza! Egli ci accoglie e ci sostiene in forza del medesimo piano provvidenziale con cui ci ha redenti. Perché potessimo capire che nonostante le sue misteriose perfezioni egli vede e si preoccupa del singolo, il Signore ha fatto suoi i pensieri e i sentimenti della nostra natura, che noi sappiamo capace di legami personali. Diventando uomo, Dio ha tagliato corto con le perplessità e i dubbi cui la ragione tende ad abbandonarsi a questo proposito, quasi volesse dare una risposta alle nostre obbiezioni e superarle ponendosi sul nostro stesso piano.
La caratteristica più avvincente della misericordia del Salvatore è il suo conformarsi al tempo e al luogo, alle persone e alle circostanze, quello che in altre parole potremmo definire il suo affettuoso adattarsi. Per ognuno che si fa avanti c’è uno sguardo ed un pensiero speciale.
È quanto riluce dalla tenerezza del Signore per Lazzaro e le sue sorelle, dalle sue lacrime sopra Gerusalemme, dalla sua condotta verso ” Pietro prima e dopo il rinnegamento e verso Tomaso in preda al dubbio, dal suo amore per la propria Madre o per Giovanni. Con particolare attenzione conviene osservare il comportamento di Gesù nei riguardi di Giuda. Si tratta di un argomento poco sfruttato, senza contare che se c’era qualcuno meritevole di venir allontanato dalla sua presenza, un essere odioso e ormai perduto, era proprio colui che Gesù conosceva come traditore. E ciò nonostante ci si accorge che anche quest’uomo spregevole viene seguito e avvolto dal suo sguardo sereno, pur nella severità, fino all’istante del tradimento. La medesima constatazione appare anche più fondata quando pensiamo al comportamento del Signore verso gli estranei che andavano a lui. Così per esempio, quando il giovane ricco gli si avvicinò, « Gesù, guardandolo con tenerezza, l’amò e gli disse: – Ti manca una cosa sola » (Mc, 10,21 ). Quando i farisei gli chiesero un segno, « Gesù emise un sospiro» (Mc, 8,12) e in un’altra occasione «li guardò indignato e contristato per l’accecamento del loro cuore » ; al lebbroso che andò da lui non accordò la guarigione pura e semplice, ma, « mosso a pietà, stese la mano ». Quanto è amabile questa manifestazione della personale Provvidenza di Dio, per coloro che lo cercano, per coloro che sono soli, che hanno capito la vanità del mondo, che sono abbandonati a se stessi, quantunque si vedano circondati dalle effimere apparenze della felicità e della grandezza mondana!… Le anime dotate di più sentita religiosità sarebbero sopraffatte dalla disperazione e giungerebbero anche al disgusto della vita, se dovessero essere sottomesse al freddo meccanismo di leggi immutabili senza poter sentire sopra di sé la misericordia e la comprensione di Colui che tali leggi ha fissate. Difficile è la posizione di chi vive tra gente incapace di spirituale comprensione e perciò estraneo a quelli che pure i continuati rapporti gli hanno reso più intimi; difficile anche la posizione di chi non riesce a risolvere i propri problemi e tanto meno a liberarsene, mentre nessuno è in grado di aiutarlo; di chi deve nascondere nel suo spirito sentimenti ed aspirazioni, perché nulla ha che possa saziarli; di chi è incompreso nel proprio ambiente e sa di non poter trovare né parole adatte per farsi capire dagli altri né presupposti in comune sulla cui base tentare un accordo; di chi ha. la sensazione di non possedere nel mondo né un posto né uno scopo, o di essere di ostacolo al suo prossimo; di chi deve seguire il proprio senso del dovere senza consiglio od appoggio alcuno o anche resistere alla volontà e alle sollecitazioni dei familiari o dei superiori; di chi finalmente è oppresso da qualche penoso segreto o da qualche incomunicabile, solitario dolore. A tutte queste difficoltà il Vangelo fornisce la via d’uscita, perché non si limita a presentarci un Creatore immutabile in cui confidare, ma un amico, un Essere dal giudizio sicuro, capace di fornire un valido aiuto.
Dio ti vede in tutta la tua individualità e « ti chiama col tuo nome» (Is., 43, 1); dovunque tu sia, lui ti vede e ti comprende, perché è lui che ti ha fatto. Egli conosce ciò che c’è in te, tutti i tuoi sentimenti personali e i tuoi pensieri, le tue inclinazioni e le .tue simpatie, la tua forza e la tua debolezza. Egli è presente nel giorno in cui gioisci come in quello in cui soffri; prende parte alle tue speranze e alle tue tentazioni, si interessa alle tue ansie e ai tuoi rimpianti, come agli alti e bassi del tuo spirito. Egli ha contato i capelli del tuo capo e i cubiti della tua statura, ti cinge e ti porta sulle sue braccia, ti solleva e ti depone a terra. Tien d’occhio il tuo volto, sia quando sorridi che quando piangi, sia quando ti senti in buona salute che quando sei ammalato. Dio guarda con tenerezza fin le tue mani e i tuoi piedi, ascolta la tua voce come pure il battito del tuo cuore e il soffio del tuo respiro. Tu non ami te stesso più di quanto egli ti ama; non puoi dolerti di una pena più di quanto egli stesso si duole che tu debba sopportarla, e se egli te la impone è come se tu stesso ti sobbarcassi ad essa, se fossi previdente, per ottenere in seguito un bene maggiore. Non sei soltanto una creatura di Dio, di quel Dio che ha cura anche dei piccoli passeri e sente compassione degli animali di Ninive (Mt, 10, 29; Gio., 3, 7 ss.): tu sei un uomo redento e santificato, un suo figlio adottivo, favorito di quella stessa gloria e benedizione che dal Padre eternamente si riversa sul Figlio unigenito. Sei stato scelto per appartenergli anche più degli altri tuoi simili sparsi nel mondo. Sei uno di coloro per i quali il Cristo ha offerto l’ultima preghiera, suggellandola col suo sangue prezioso.
Quale pensiero! Troppo grande forse per la nostra debole fede! È difficile trattenersi, quando lo si afferra, dal fare come Sara che rideva di meraviglia e di stupore (cfr. Gn, 18, 12 ss.) all’udire la promessa del Signore. Chi è l’uomo, chi siamo noi, chi sono io, perché il Figlio di Dio si preoccupi tanto di me? Chi sono io perché lo Spirito Santo venga ad abitare nella mia anima e la innalzi al cielo « intercedendo con ineffabili sospiri »? (Rom, 8, 28).
Ecco le riflessioni che possono confortare il cristiano, quando, col divino Maestro si trova sul santo monte del Signore. E quando ne discende per affrontare il suo dovere quotidiano, esse restano la sua silenziosa, intima forza. Rendono luminoso il suo aspetto; lo fanno lieto, raccolto, sereno e fermo in mezzo alle tentazioni, alle persecuzioni, alle privazioni. Se viviamo in questi pensieri, il mondo con tutti i suoi fini e le sue dottrine deve apparirci ben miserabile. Misera cosa è il chiedere la felicità alle creature, l’aspirare alle buone posizioni, alla ricchezza, alla reputazione; l’immaginare questo o quel modo di vita; il lasciarsi influenzare dalle maniere e dai gusti dei grandi del mondo e lo spendere il tempo in occupazioni vane. Infelice vita è mostrarsi sempre insoddisfatti, pronti ai – contrasti, gelosi o invidiosi, severi verso gli altri e disposti al risentimento, avidi di inutili conversazioni e delle notizie del giorno; preoccupati di problemi politici che non ci toccano per nulla o interessati allo sviluppo di conoscenze vane. Quale consolazione potremo trovare alla fine dei nostri giorni, quando la carne e il cuore verranno meno? Vorrà Dio riconoscerci ancora come suoi, lui che oggi ci guarda con tanto amore e con tanta dolcezza tiene su di noi la sua mano?
Tratto dal Sermone A Particular Providence as Revealed in the Gospel PPS, III, 9, 114-127