In un “Giorno di ritiro con il Santo John Henry Newman”, organizzato dal Centro Internazionale degli Amici di Newman il 1 marzo 2020 a Roma, il Prof. P. Joseph Carola S.I. (Pontificia Università Gregoriana) ha dato una meditazione su “Newman e Roma”. Ecco, in allegato, un riassunto in italiano con i pensieri principali:
Newman e Roma
Le prime impressioni
Roma affascinò l’allora giovane trentaduenne. La trovò meravigliosa, maestosa, gloriosa, vasta e irresistibile, la prima di tutte le città. Tutte le altre, inclusa Oxford, sosteneva, erano come polvere in confronto.[1] Roma, concludeva dopo appena cinque giorni, “è il più meraviglioso luogo del mondo”[2].
Nel suo primo giorno completo a Roma, domenica 3 marzo 1833, Newman visita la Basilica di S. Pietro, e nota come i romani rispettino con decoro il giorno del Signore – “quasi come in Inghilterra”[3].
Newman amava la grande pace di Roma che induceva al riposo e al raccoglimento. “Soltanto Gerusalemme” notava “può ispirare tanta grande consolazione e calma come questa quando ci si trova tra le tombe e le chiese dei primi santi cristiani”[4]. Trova che la città sia un luogo “intelligente e liberale”[5] perché, al contrario di Napoli, vi arrivano regolarmente i giornali inglesi che gli danno notizie del suo paese anche se con 12 o 14 giorni di ritardo.
Verso metà marzo Newman scrisse che, “Roma è una delle più deliziose residenze immaginabili” e che era persino tentato di considerarlo “un rifugio desiderabile, se per qualche spiacevole motivo si fosse dovuto allontanare dall’Inghilterra”[6].
I tre aspetti di Roma
Le lettere da Roma di Newman del 1833 non mostrano soltanto le prime impressioni di un turista ma ci offrono anche le riflessioni provocatorie del giovane Newman sul posto occupato da Roma nella storia secolare e religiosa. Newman vedeva tre aspetti di Roma: 1) la Roma pagana, 2) la Roma dell’arte, e 3) la Roma cristiana.
- La Roma pagana
ricorda il potere odioso dei Romani, la quarta bestia della visione di Daniele e la persecuzione della Chiesa primitiva[7]. Non resta quasi traccia delle prime tre bestie – Babilonia, Persia e Macedonia – ma “l’ultima e più terribile bestia giace davanti a noi come soggetto per la nostra contemplazione, in tutte le sue piaghe visibili”[8]. È il grande nemico di Dio – “un’affermazione di empietà”[9]. Tra le sue rovine il Colosseo si erge come una vera Torre di Babele. Newman non deplora lo stato delle sue rovine, né “rimprovera i primi cristiani per aver distrutto i monumenti della sua grandezza pagana”[10]. Infatti, denigra i moderni che ostentano una classica tenerezza per ciò che erano i luoghi sommi dell’empietà e le scene dei primi martiri“.[11]
Perché, dopo 2500 anni il genius loci della Roma pagana è ancora vivo e rende schiava la Chiesa che risiede sui suoi 7 colli. Mette in ombra la Roma cristiana e si mescola con la Chiesa come il grano con il loglio. Il potere temporale del Vescovo di Roma che unisce indiscriminatamente Chiesa e Stato, sembra essere il diretto compimento profetico della parabola. “Che lo spirito dell’antica Roma abbia posseduto lì la Chiesa cristiana” argomenta Newman “è cosa certa”[12]. La Roma imperiale continua a vivere nella Chiesa di Roma – nella sua universale pretesa di obbedienza, nella lingua latina e nell’astuzia politica. Newman è convinto, ancor più, che un giudizio apocalittico attende ancora lo spirito pagano che abita ancora questo luogo. “Roma è una città condannata” scrive a sua madre[13]. Solo il suo castigo libererà la Chiesa.
- La Roma dell’arte
In notevole contrasto con questa descrizione della Roma pagana, Newman valuta favorevolmente la Roma dell’arte, soprattutto quella dei Musei Vaticani. È un mondo “pieno di gusto e immaginazione”[14]. L’infinita collezione di statue incanta Newman. Toccato dall’incomparabile bellezza dell’Apollo del Belvedere, Newman dichiara che è indescrivibile. Loda anche la bellezza trascendente dei volti nei dipinti di Raffaello. Anche se il giovane Newman denuncia veementemente il potere temporale dei Papi, ammette con simpatia che, se lui stesso fosse stato Papa, avrebbe molto sofferto se i Musei Vaticani, la Basilica di S. Pietro e altri tesori artistici di Roma fossero andati perduti.[15]
Tramite i contatti romani del suo compagno di viaggio Richard Froude, Newman poté far conoscenza della Scuola Nazarena di arti il cui direttore, il convertito cattolico tedesco Johann Friedrich Overbeck, aveva uno studio in città. In seguito, nel 1847, Newman, diventato cattolico, avrebbe fatto visita allo studio di Overbeck aperto al pubblico ogni domenica da mezzogiorno alle due di pomeriggio. Da quanto aveva sentito nel 1833 infatti, queste opere dell’artista facevano sperare Newman in una rinascita dell’arte religiosa in Germania.[16] Quindici anni dopo, questa scuola di arte avrebbe ispirato la Confraternita dei Pre-Raffaelliti in Inghilterra, che per la prima volta dopo la Riforma rivisitavano temi religiosi nell’arte inglese.
- La Roma cristiana
Riguardo alla Roma cristiana Newman aveva sentimenti contraddittori. La Roma cristiana suscitava in lui pena e piacere.[17] Provava un senso di orgoglio per l’antica Roma apostolica, ma soffriva molto per il moderno sistema romano che autorizzava “l’infelice perversione della verità”[18]. Infatti Newman considerava la dottrina della Messa e del Purgatorio peggio di una perversione – pure invenzioni.[19]
Il Romanesimo esibisce “una lamentevole mescolanza di verità e di errore”, osserva, “la corruzione dei più alti e nobili principi e vedute, molto più elevati di quelli dei Protestanti, tramite veleni maligni”.[20] Sperimentò questa lamentevole mescolanza direttamente durante la Messa di Papa Gregorio XVI per la festa dell’Annunciazione, celebrata nella chiesa domenicana di S. Maria sopra Minerva. Qui il potere temporale del Papa lo univa al nemico di Dio. I suoi inservienti lo trasportavano in processione mentre i fedeli lo riverivano baciandogli il piede. Il giovane evangelico trovò intollerabile un tale omaggio reso a un ministro di Cristo. Eppure, come ministro di Cristo, il Papa compie i sacri riti della Chiesa. Questi riti liturgici, in effetti, commuovono il giovane Newman. Di conseguenza quest’esperienza lo lascia confuso. Non sa far altro che ripetere a se stesso le parole del suo componimento ispirato in precedenza da Roma: “Come devo chiamarti, luce del vasto occidente, o sede dell’errore malvagio?”[21]
L’avversione per il Romanesimo, la Via media e il fascino dell’antichità cristiana
Il viaggio di Newman in Italia del 1833 confermò la sua avversione per il Romanesimo, aumentandola maggiormente. Anche se Newman percepiva “un profondo substrato di autentica cristianità”[22] tra gli stessi italiani, lamentava il miserevole stato della Chiesa in Italia che aveva perso la sua influenza sulla popolazione comune e continuava ogni giorno per forza d’inerzia e di abitudine. “Se una mattina arriverà il gelo” dice poeticamente, “la Chiesa cadrà e perirà (parlando umanamente) come una foglia secca”[23]. Ma Newman rimane sempre più legato al sistema Cattolico che Roma ha corrotto. Niente altro che “terribili convulsioni” scrive a Edward Pusey (1800-1882), potrebbero riformare la Chiesa Cattolica, e “niente altro che grandi sofferenze, come fuoco” potrebbero riunirla di nuovo insieme con l’Inghilterra.[24] La corruzione di Roma rende ogni pensiero di riunione un sogno impossibile. La via di salvezza dell’Anglicanesimo, sottoposto alla minaccia esterna del governo Whig e a quella interna del Protestantesimo, è di essere cattolica, ma non romana. Il seme della Via Media di Newman aveva chiaramente iniziato a prendere profonde radici. Sarebbero presto sbocciati i frutti. Ma in una decina di anni, questa stessa pianta sarebbe anche drammaticamente inaridita e morta.
Da Napoli scrisse alla sorella Jemima confidandole di aver lasciato metà del cuore a Roma – non alla città di Roma, ma a Roma protagonista della storia sacra.[25] “Per quanto concerne Roma” confessa in un’altra lettera, “non posso evitare di parlare di questo. Avete le tombe di S. Paolo e di S. Pietro, e di S. Clemente – chiese fondate da S. Pietro e Dionigi (AD 260) e altre nelle catacombe che venivano usate nel tempo delle persecuzioni – la casa e la mensa di S. Gregorio – i luoghi del martirio dei due Apostoli – ma l’elenco è senza fine – o Roma se tu non fossi Roma!”[26]
Il cuore del giovane Newman, che presto diverrà Tractariano, è stato conquistato dall’antichità cristiana.
“… ma Roma era una città di fede”
Nel 1846 Newman, ormai in piena comunione con la Chiesa Romana, ritorna a Roma per prepararsi al sacerdozio cattolico. Arriva nella capitale del Papa alle 10.00 di sera del 28 ottobre 1846 – un giorno molto piovoso, annota.[27] I luoghi circostanti non lo incantano come avevano fatto nel 1833. Un mese dopo il suo arrivo osserva molto sinceramente: “Non ho mai visto una città con la decima parte di sporcizia nelle strade come qui”.[28] Non sarebbe sbagliato pensare che trovò la città come la descrive Willis, studente universitario di Oxford convertito al Cattolicesimo Romano, protagonista di Loss and Gain (la sua novella del 1848): “(Roma) un luogo così tetro e malinconico; una serie infinita di cumuli di mattoni vecchi, senza forma e prossimi a sbriciolarsi; il terreno tutt’altro che livellato; le strade rialzate diritte chiuse da muri alti e monotoni, i punti di interesse sparpagliati in luoghi desolati e solitari, i palazzi scoloriti, gli alberi sistematicamente cimati, le strade con la sporcizia che ti arrivava alle caviglie, e negli occhi e nella bocca ti entravano mulinelli di polvere e festuche, il clima capriccioso, l’aria della sera micidiale. Napoli era un paradiso terrestre; ma Roma era una città di fede.”[29]
Nel 1833 il giovane Newman non poteva capire quelli che consideravano Napoli superiore a Roma.[30] Ma nel 1848, il suo primo disdegno di Napoli a favore di Roma aveva fatto posto a un nuovo sentimento di apprezzamento della città campana.
[1] Cfr. J.H. Newman, The Letters and Diaries of John Henry Newman, vol. III, ed. Ian Ker & Thomas Gornall, SJ (Oxford Clarendon Press, 1979), p. 230.
[2] “To John Frederic Christie, 7 marzo 1833”: J.H. Newman, LD III, p. 240.
[3] “To Henry Wilbeforce, 9 marzo 1833”: J.H. Newman, LD III, p. 246.
[4] “To Samuel Rickards, 14 April 1833”: J.H. Newman, LD III, p. 287.
[5] “To George Ryder, 14 marzo 1833”: J.H. Newman, LD III, p. 248.
[6] “To R. F. Wilson, 18 marzo 1833”: J.H. Newman, LD III, p. 258.
[7] “To Samuel Francis Wood, 17 marzo 1833”: J.H. Newman, LD III, p. 253.
[8] “To George Ryder, 14 marzo 1833”: J.H. Newman, LD III, pp. 248-249.
[9] “To John Frederic Christie, 7 marzo 1833”: J.H. Newman, LD III, p. 240.
[10] “To George Ryder, 14 marzo 1833”: J.H. Newman, LD III, p. 249.
[11] “To Samuel Rickards, 14 April 1833”: J.H. Newman, LD III, p. 288.
[12] “To Samuel Rickards, 14 April 1833”: J.H. Newman, LD III, p. 288.
[13] “To Mrs. Newman, 25 March 1833”: J.H. Newman, LD III, p. 268.
[14] “To John Frederic Christie, 7 March 1833”: J.H. Newman, LD III, p. 240.
[15] Cfr. “To Henry Wilbeforce, 9 March 1833”: J.H. Newman, LD III, p. 246.
[16] Cfr. “To Jemima Newman, 20 March 1833”: J.H. Newman, LD III, p. 265.
[17] Cfr. “To George Ryder, 14 March 1833”: J.H. Newman, LD III, p. 248.
[18] “To R. F. Wilson, 18 March 1833”: J.H. Newman, LD III, p. 258.
[19] Cfr. “To Jemima Newman, 20 March 1833”: J.H. Newman, LD III, p. 265.
[20] “To Henry Jenkyns, 7 April 1833”: J.H. Newman, LD III, p. 280.
[21] “To Mrs. Newman, 25 March 1833”: J.H. Newman, LD III, p. 268
[22] “To Mrs. Newman, 5 April 1833”: J.H. Newman, LD III, p. 274.
[23] “To Henry Wilbeforce, 9 March 1833”: J.H. Newman, LD III, p. 246.
[24] “To E. B. Pusey, 19 March 1833”: J.H. Newman, LD III, p. 259.
[25] Cfr. “To Jemima Newman, 11 April 1833”: J.H. Newman, LD III, p. 282.
[26] “To Samuel Rickards, 14 April 1833”: J.H. Newman, LD III, p. 290.
[27] John Henry Newman, LD XI, p. 266.
[28] John Henry Newman, LD XI, p. 285.
[29] John Henry Newman, Perdita e guadagno, ed. Jaka Book (Milano, 1996), pp. 307-308.
[30] Cfr. “To Frederic Rogers, 5 March 1833”: J.H. Newman, LD III, p. 282.