Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria; i suoi discepoli credettero in lui (Gv 2,11).
L’Epifania è il tempo stabilito in modo speciale per adorare la gloria di Cristo. La parola « epifania » può essere intesa a indicare la manifestazione della sua gloria e ci porta alla contemplazione di lui come re sul trono in mezzo alla sua corte, con i suoi servi attorno a lui e con le guardie al suo servizio. A Natale ricordiamo la sua grazia, durante la Quaresima le sue tentazioni, nel Venerdì santo le sue sofferenze e la sua morte, a Pasqua la sua vittoria, nell’Ascensione il suo ritorno al Padre, nell’Avvento anticipiamo la sua seconda venuta. In tutte queste ricorrenze egli fa o soffre qualche cosa; ma nell’Epifania e nelle settimane seguenti noi lo celebriamo non come sul campo di battaglia o come in un luogo solitario, ma come un re augusto e glorioso: lo contempliamo come oggetto di adorazione. Solo allora, durante la sua vita terrena, egli realizzò quello di cui Salomone era figura e tenne (per così dire) una corte, e ricevette l’omaggio dei suoi sudditi; quando cioè era un bimbo. Il trono erano le braccia della sua madre immacolata; la sala era una capanna o una grotta; gli adoratori, i Saggi dell’Oriente che portarono in dono oro, incenso e mirra. Tutto attorno a lui si presenta come una realtà terrena: fuorché a chi guarda con occhi di fede. Egli aveva solo un segno della sua divinità. I grandi del mondo spesso vestono con semplicità, e appaiono come gli altri in tutto, eccetto che per un ornamento prezioso sul petto o sulla fronte; così il Figlio di Maria nella sua umile esistenza e nella sua condizione di bambino fu dichiarato Figlio del Dio Altissimo, Padre del secolo futuro, Principe della pace, da una stella; una misteriosa apparizione che aveva guidato i magi lungo tutto il cammino dall’Oriente fino a Betlemme. […]
In questo tempo dell’anno le parti della liturgia proprie alla stagione rivestono un carattere appropriato, adatto a ricordarci un re nel suo trono che riceve gli omaggi dei sudditi. Tale è la natura del racconto della venuta dei magi, che da una terra lontana vennero con doni a cercarlo e, quando lo trovarono, si prostrarono e l’adorarono. Molto simile è il racconto del battesimo di Gesù che leggiamo nel giorno dell’Epifania, quando lo Spirito discese su di lui, e si sentì una voce dal cielo che lo proclamò Figlio di Dio. […]
La liturgia del tempo dell’Epifania ci porta alla seguente riflessione che nasce da quanto ho detto. Come possiamo osservare, l’unico dispiegamento di grandezza regale, la sola stagione di maestà, onore e gloria che il Signore ebbe sulla terra, fu nel tempo della sua infanzia e giovinezza[1]. Il messaggio dell’angelo Gabriele a Maria era conveniente, nello stile e nel modo, a un angelo che parlava alla madre del Cristo; Elisabetta salutò Maria, e Giovanni, racchiuso nel suo seno, salutò il Signore nasco sto dandogli onore; gli angeli proclamarono la sua nascita, e i pastori lo adorarono. Apparve una stella e i magi vennero dall’Oriente a offrire i loro doni?. Gesù fu portato al tempio, e Simeone lo prese tra le braccia e ringraziò Dio a gran voce; raggiunti i dodici anni, si recò ancora nel tempio e prese posto tra i dottori. Ma qui finisce la rivelazione terrena della sua maestà; in seguito essa si manifestò solo in alcuni momenti, per sprazzi e scintille, non più con una luce piena e continua o con un’irradiazione diffusa. Infatti, al termine dell’ultimo racconto l’evangelista scrive: Partì con loro a Nazaret e stava loro sottomesso. Ora comincia veramente la sua sottomissione. Egli era venuto nella condizione di servo, e ora assumeva il compito del servo.
Come è ricco di significato il concetto di sottomissione! Iniziò, e con essa finì il tempo della gloria, all’età di dodici anni.
Salomone, grande figura del principe della pace, regnò quarant’anni, e il suo nome e la sua grandezza furono riconosciuti fin nelle regioni lontane in Oriente. Giuseppe, il figlio prediletto di Giacobbe, che nei primi tempi della Chiesa fu anch’egli figura di Cristo nel suo regno, ebbe il potere e la gloria per ottant’anni, il doppio di Salomone. Ma Cristo, il vero rivelatore dei segreti, il dispensatore del pane della vita, vera sapienza e maestà del Padre, manifestò la sua gloria solo negli anni della sua infanzia; poi il sole di giustizia si nascose nella nuvola. Egli non doveva regnare realmente finché non avesse abbandonato il mondo. Ha regnato da sempre, anzi regnò nel mondo, sebbene non in maniera sensibile; re invisibile di un regno visibile; egli venne infatti sulla terrà a dimostrare quale doveva essere il suo regno dopo che aveva lasciato la terra; a sottomettersi alla sofferenza e al disonore per poter regnare[2].
Accade spesso agli uomini, quando hanno una grave malattia per cui cadono in delirio o in altri disturbi mentali, di avere tuttavia di quando in quando momenti di lucidità, durante i quali superano in un certo senso se stessi, come per mostrarci quello che sono realmente… Inoltre alcuni pensano che le menti dei bambini portino in se stesse tracce di qualche cosa di sovraterreno, tracce che scompaiono man mano che la vita avanza, ma sono la promessa di quello che essi potranno essere nel futuro. Analogamente, se è lecito il paragone tra noi e il Signore, in una maniera simile ma più alta, Cristo discende nelle ombre di questo mondo portando in sé i segni fuggevoli della futura gloria in cui sarebbe entrato solamente dopo la sua passione. La stella brillò luminosa su di lui per breve tempo, ma poi si affievolì. e scomparve.
In altri casi vediamo la medesima legge, se così si può chiamare, della divina Provvidenza [3] Consideriamo, per esempio, come e quando fu dato agli apostoli l’annunzio della passione del Signore. Quando la udirono? Sul monte apparvero con lui Mosè ed Elia, nella loro gloria, e parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme. Ciò significa che il tempo della sua amara passione fu preceduto da un rapido raggio di quella gloria futura, quando improvvisamente si trasfigurò, e il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante E nella speranza di questa gloria il Signore non temette la morte; sta scritto infatti: A causa della gloria postagli dinanzi, sostenne la croce, disprezzando la vergogna. Ancora: Gesù predisse agli apostoli che in simile maniera anch’essi sarebbero stati perseguitati a causa della giustizia, sarebbero stati insultati e condannati, odiati e messi a morte. Tale sarebbe stata la loro vita in questo mondo; infatti se avessero avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, sarebbero stati da compiangere più di tutti gli uomini. Possiamo ben osservare quindi che la loro prova è stata preceduta da un periodo di pace e di soddisfazioni, come pegno della futura ricompensa; infatti prima del giorno di Pentecoste, per quaranta giorni, il Signore fu con loro tranquillizzandoli, confortandoli, incoraggiandoli e parlando del Regno di Dio. Come Mosè salì sul monte e vide la terra promessa con tutte le sue ricchezze, e tuttavia Giosuè dovette combattere molte battaglie prima di venirne in possesso; così gli apostoli, prima di discendere nella valle delle ombre della morte da cui non si sarebbe visto nulla del cielo, salirono sul monte e guardarono la pianura che dovevano attraversare per arrivare alla città del Dio vivente.
Così anche san Paolo: dopo molti anni di fatica ricordava il tempo quando ebbe una visione celeste, anticipo di quella che sarebbe stata la sua felicità in cielo; e poteva scrivere: Conosco un uomo in Cristo – dice, intendendo se stesso – che quattordici anni fa,… fu rapito fino al terzo cielo. E so che quest’uomo… fu rapito in paradiso e udì cose indicibili che non è lecito ad alcuno pronunziare. San Paolo, come gli altri apostoli e come il Signore prima di lui, ebbe la sua stagione di riposo e di consolazione prima della battaglia.
Possiamo infine dire che a tutta la Chiesa è garantita una simile misericordia all’inizio, come pegno di quello che avverrà alla fine. […]
Beato John Henry Newman, Parochial and Plain Sermons, VII, pp. 74-85
Estratto del sermone in italiano in: Gesù, Edizioni Paoline, Milano 1992, pp. 109-113
[1] In questo breve e semplice sermone, Newman prende ispirazione dal carattere liturgico dell’Epifania per portare la riflessione su tutta la vita di Gesù, di cui coglie un aspetto fondamentale: la sua gloria durò pochissimo tempo, mentre la sofferenza si estese per tutta la vita, come passaggio obbligato per la gloria eterna.
[2] Newman, nei suoi scritti, ricorre spesso a raffronti, a parallelismi tra l’Antico e il Nuovo Testamento. Questo fatto, oltre a rivelare la sua sicura padronanza della Scrittura, ci permette di conoscere anche uno dei suoi criteri d’interpretazione, cioè l’uso del senso tipologico. Così Salomone e Giuseppe vengono considerati come figure di Cristo, che attuano in maniera incompleta e profetica quanto Cristo realizzerà in maniera completa e perfetta; in questo caso il Regno di Dio.
[3] Newman descrive la vita degli uomini santi prima e dopo Cristo, e li vede uniti a lui dal disegno d’amore del Padre celeste in un medesimo destino di sofferenza e di gloria.