L’Ascensione – una meditazione con il Beato John Henry Newman

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1. Egli ascese

1. Mio Signore, io ti seguo su in cielo; siccome tu te ne sei anda­to, il mio cuore ed il mio spirito sono venuti con te. Giammai vi fu trionfo che rassomigliasse a questo. A Betlemme apparisti come un bambino, composto di carne e ossa, come tutti gli uomini. Quella carne che prendesti dalla beata Vergine non esisteva prima che tu l’assumessi: essa fu una nuova creazione delle tue mani. Ed anche la tua anima fu qualche cosa di nuovo, rappresentò una nuova creazio­ne della tua onnipotenza, fatta nel momento in cui germogliasti nel grembo di Maria. Quell’anima e quel corpo di cui ti rivestisti, furo­no generati da una donna. E qui sta il trionfo: la terra salì al cielo. Io ti scorgo nel tuo viaggio: vedo quella forma umana che fu inchioda­ta sulla croce, le mani e i piedi trapassati da chiodi, il costato aperto dal colpo di lancia: essi salgono al cielo. E gli angeli sono pieni di giubilo; miriadi di spiriti beati, popolo degli spazi gloriosi, scendo­no fitti come pioggia ad incontrarti. Il lastrico vivente della dimora di Dio è scisso in due, ed i cherubini con le loro spade fiammeg­gianti, che formano la colonna del cielo contro gli uomini decaduti, aprono il cammino per il quale tu penetri, avvolto della tua maestà, e seguito dal corteggio dei tuoi santi.

2. O giorno memorabile! Gli apostoli, per quanto prima sentis­sero ben diversamente, ora che quel giorno è venuto, la pensano co­sì. Quando stava per arrivare lo temevano. Non lo potevano consi­derare se non sotto l’aspetto d’una grande privazione; ma ora noi leggiamo che se ne tornarono a Gerusalemme «ripieni di gioia gran­de». E il giorno del trionfo. Essi se n’accorgono solo ora; si accorgo­no quanto a torto si lamentassero del loro Signore e Maestro, il ca­pitano glorioso della loro salvezza, il campione invitto, ed il primo frutto dell’umana famiglia. Fu il trionfo dell’uomo redento. Rappre­sentò il complemento della sua redenzione. Fu l’ultimo atto che chiudeva tutto il dramma, giacché ormai l’uomo è realmente in cie­lo; è entrato nel possesso della sua eredità. Lassù l’umana famiglia che ha peccato, ha ormai un suo rappresentante, ha la sua carne e il suo sangue nella persona dell’eterno Figlio. Quale unione misterio­sa tra il cielo e la terra è mai questa! Cominciò nel dolore; ma ora il lungo travaglio di quel giorno misterioso di preparazione mortale è terminato; è sorto il giorno lucente delle nozze; il giorno del matri­monio e della nascita si sono fusi; l’uomo nacque quando l’Emmanuele salì al cielo.

3. O Emmanuele, Dio con noi, anche noi con la tua grazia spe­riamo di seguirti su nei cieli. Vogliamo aggrapparci al lembo delle tue vesti, per venire con te, giacché senza di te non possiamo salire. O Emmanuele, quale giorno di gioia per noi, quando potremo en­trare in cielo. Oh estasi ineffabile dopo tante tribolazioni! «Tu mi hai preso per la mano destra. Mi guiderai con il tuo consiglio, e poi mi accoglierai nella tua gloria. Chi altri avrò per me in cielo? Fuori di te nulla bramo sulla terra. Vengono meno la mia carne e il mio cuore; ma la roccia del mio cuore è Dio; è Dio la mia sorte per sem­pre» (Sal 73,24ss.).

2. Salì al cielo

1. Il Signore è salito al cielo. Ti adoro, o Figlio di Maria, o Gesù Emmanuele, Dio mio e mio Salvatore. Io mi sento spinto ad adorarti, o mio Salvatore e fratello, perché sei Dio. Ti seguo col pensiero, o primo frutto della nostra stirpe, come spero seguirti un giorno con la tua grazia. Andare in cielo equivale ad andare a Dio. Qui c’è Dio e solo Dio: poiché qui non c’è che felicità, e non può esser feli­ce che colui il quale si immerge, si nasconde e viene assorbito nella gloria della natura divina. Tutte le sante creature non sono che ri­flessi dell’Altissimo, che egli ha per sempre assunte, e che entrano nella sfera della sua luce increata. Sulla terra ci sono molte cose, ognuna delle quali fa capo a se stessa; ma in cielo non si fa che un nome, e questo nome è quello di Dio. Ciò costituisce la vera vita so­prannaturale; e se sulla terra voglio vivere una vita soprannaturale, e conquistare la vita divina che è in cielo, devo fare una cosa sola: vi­vere quaggiù nel pensiero di Dio. O Dio, insegnami a far questo; dammi la grazia necessaria a metterlo in pratica; ad avere la mia ra­gione, i miei affetti, le mie intenzioni, i miei propositi, tutti possedu­ti dal tuo amore, e immersi nella sola visione di te.

2. Lassù non c’è che un nome ed un pensiero, quaggiù ci sono molti pensieri. Questa è la vita della terra che si conclude con la morte: seguire gli innumerevoli oggetti, scopi, fatiche, piaceri, che gli uomini perseguono sulla terra. Anche i beni di quaggiù non por­tano al cielo; maneggiandoli si guastano, usandone vengono a man­care; sono privi di sostegno, di integrità, di consistenza. Prima di ve­nire a mancare, vanno a finire nel male; vanno a finire male, prima di aver incominciato ad esser buoni. Nella migliore delle ipotesi, quando non siano qualche cosa di peggio, non sono che vanità. Ge­neralmente in essi sta il germe del peccato. Mio Dio, io riconosco tutto questo. Mio Signore Gesù, confesso e riconosco che tu solo sei la verità, la bellezza, la bontà; tu solo puoi farmi contento e glorio­so, ed ascrivermi alla tua sequela. Tu sei la Via, la Verità e la Vita, e nessuno può esserlo all’infuori di te. La terra non potrà mai condur­mi al cielo. Solo tu sei la via, solo tu.

3. Mio Dio, posso io restare incerto anche solo un istante sulla via che devo seguire? Esiterò forse un solo momento a prendere te per mia porzione? «A chi andrò? Tu hai parole di vita eterna» (Gv 6,68). Tu venisti quaggiù per fare per me ciò che nessun altro pote­va fare. Nessuno può portarmi al cielo all’infuori di colui che è in cielo. Che forza possiedo io per dar la scalata alle più alte monta­gne? Dopo che avrò servito fedelmente il mondo, dopo che a suo ri­guardo avrò adempito tutto il mio dovere, come dicono gli uomini, che cosa potrà fare il mondo per me, per quanto ci si provi con tut­to lo zelo? Supponiamo pure che io adempia gli obblighi del posto che occupo, che faccia del bene ai miei seguaci, che goda buon no­me e riputazione di saggio; supponiamo pure che faccia azioni gran­diose, e sia molto in voga, supponiamo che il mio nome passi lodato alla storia; in qual modo tutto questo mi porterà al cielo? Io, quindi, scelgo te per mia unica porzione, perché tu vivi senza mai morire. Rifiuto ogni idolo e mi dedico tutto a te. Ti supplico di ammaestrar­mi, di guidarmi, di rendermi atto a fare quanto devo fare, di attirar­mi a te.

Testo: John Henry Newman,  Meditazioni e Preghiere, a cura di Velocci G. Jaca Book Milano 2002, pp. 87-90.