Onorare la Madre a causa del Figlio

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Sappiamo, fratelli, che nel mondo naturale nulla vi è di superfluo, nulla di incompleto, nulla di autosufficien­te: ogni parte risponde a un’altra parte, e tutti i partico­lari si fondono fra loro a costituire un unico grande tutto. Ordine e armonia sono fra le prime perfezioni che noi pos­siamo scorgere chiaramente nella creazione visibile. E più la esaminiamo, più chiaramente scopriamo che queste due perfezioni sono largamente e accuratamente inerenti alla creazione. « Tutte le cose sono doppie », afferma il Saggio, « l’una opposta all’altra. Egli non ha fatto alcunché di im­perfetto »(Sir 42,24). Attributo caratteristico e autentica definizio­ne dei cieli e della terra (Gen 2,1), in contrasto con il vuoto e il caos che li hanno preceduti è il fatto che ogni cosa sia ora soggetta a leggi immutabili e che ogni movimento, ogni influsso ed effetto possano essere giustificati; anzi, se le nostre conoscenze fossero adeguate, potrebbero essere ad­dirittura preannunciati.

D’altra parte, è pure evidente che soltanto in propor­zione alle nostre osservazioni e alle nostre ricerche questa verità diventa evidente. Benché infatti un certo nu­mero di cose anche al primo sguardo appaiano procedere secondo un ordine fisso e armonioso, tuttavia in altri casi è difficile ravvisare la legge cui esse si adeguano. Ecco al­lora che diventano di uso comune parole quali « caso », « sorte » e « fortuna », parole che altro non fanno che tra­dire la nostra ignoranza.

Per questo motivo potete immaginare degli spiriti esa­gitati e irreligiosi, impegnati giorno e notte nelle occupa­zioni mondane, che all’improvviso si guardano attorno, guardano il cielo, guardano la terra e criticano il Grande Architetto e, sostenendo che esistono creature di nessun pregio o con deficienze nella loro struttura, fanno domande che hanno l’effetto di mettere in evidenza la loro carenza di cultura scientifica.

La situazione è identica quando si passa al mondo del soprannaturale: le grandi verità della Rivelazione sono tutte collegate fra loro a formare un tutto unico. Anche questo può essere costatato in certa misura a un primo sguardo; tuttavia per afferrare la piena portata e l’armonia dell’in­segnamento cattolico si richiedono studio e meditazione. E così, mentre gli. studiosi di questo mondo si seppelli­scono in musei e laboratori, o scendono nelle miniere, o vagano per boschi e spiagge, colui che studia le verità ce­lesti si chiude nella sua cella o nel suo oratorio, dove scio­glie il proprio cuore nella preghiera, raccoglie i propri pen­sieri nella meditazione, soffermandosi sull’idea di Gesù o di Maria, o della grazia o dell’eternità, e riflette sulle parole di persone sante che lo hanno preceduto, finché da­vanti agli occhi del suo spirito appare la nascosta sapien­za del perfetto, che Dio ha predestinato prima del mondo a nostra gloria (1 Cor 2,7) e che egli rivela attraverso il suo spirito (1 Cor 2,10). E così, mentre gli uomini incolti possono discutere sulla bellezza e l’armonia della creazione, uomini che per sei giorni la settimana sono sommersi dagli affanni mondani, che vivono per la ricchezza o per la fama, per i piaceri o per la cultura profana, relegando ai momenti di tempo libero il pensiero della religione, senza mai innalzare lo spirito a Dio, senza mai chiedergli la sua grazia illuminante, senza mai castigare il proprio cuore e il proprio corpo, senza mai contemplare seriamente gli argomenti della fede, bensì giudicando frettolosamente e perentoriamente in base al­la propria visuale personale o all’umore del momento…, uomini di tal fatta, dicevo, possono facilmente (o meglio, sicuramente) restare sorpresi e scossi di fronte a porzioni della verità rivelata, vedendoli come strani, o difficili, o eccessivi, o contraddittori, e finiscono con il respingerli del tutto o in parte.

Applicherò ora queste osservazioni all’argomento delle prerogative che la Chiesa attribuisce alla Madre di Dio. Queste si presenteranno come sorprendenti o difficili per coloro la cui mente non vi è abituata e il cui raziocinio non vi si è mai applicato, mentre invece più vi si indugia con attenzione e devozione, più esse si riveleranno – ne sono sicuro – come essenziali alla fede cattolica e parti integranti del culto di Cristo.

E semplicemente questo il punto sul quale voglio insi­stere – un punto certamente discutibile per chi sta fuori della Chiesa, ma del tutto evidente per i suoi figli – : che cioè le glorie di Maria sono a causa di Gesù e che lodiamo e benediciamo Maria come la prima fra le creature per poter a ragione proclamare lui nostro unico Creatore.

Quando il Verbo eterno decise di scendere su questa terra, la sua non fu una decisione o una azione a metà: egli venne invece per essere uomo come ognuno di noi, per prendere un’anima e un corpo umani e farli realmen­te suoi. Egli non venne in una forma meramente fittizia o provvisoria, così come gli angeli che appaiono agli uo­mini; né si limitò a rivestire come un’ombra un essere uma­no preesistente (così come riveste i suoi santi), chiaman­dolo col nome di Dio. Egli invece si fece carne (Gv 1,14); unì a sé l’umanità e divenne realmente vero uomo come era vero Dio, sicché da quel momento fu contemporaneamente Dio e uomo o, in altre parole, fu un’unica persona in due na­ture, la divina e l’umana.

Questo è un così mirabile e arduo mistero che solo la fede lo afferra saldamente; l’uomo puramente naturale può afferrarlo per un momento (anzi, può pensare di averlo afferrato), ma in realtà non lo fa veramente, perché appe­na ha dichiarato di crederlo, segretamente vi si ribella, ne rifugge e gli si rivolta contro. Ciò è avvenuto fin dagli inizi: già durante la vita del discepolo prediletto sorsero indivi­dui a dire che il Cristo non aveva corpo, oppure che ave­va sì un corpo ma modellato nei cieli, o che non patì lui ma un altro in sua vece, o che fu soltanto per un certo tempo dotato della forma umana che nacque e patì, una forma che gli sopravvenne all’atto del suo battesimo e che poi lo abbandonò prima della crocifissione; o ancora che egli era solamente un uomo. Per la ragione non rigene­rata era troppo difficile comprendere che in principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio… E il Verbo si fece carne e abitò in mezzo a noi (Gv 1,14).

Ciò si verifica anche ai nostri giorni: i semplici prote­stanti hanno raramente una reale percezione di questa dot­trina di un Dio-uomo in un’unica persona, e parlano della divinità di Cristo con espressioni vaghe e fumose. Quando però si esamina con più precisione il significato di quan­to affermano, li troverete molto restii a esprimere qual­che proposizione adeguata a enunciare il dogma cattolico. Vi diranno subito che si tratta di un argomento sul quale non bisogna indagare, perché è del tutto impossibi­le svolgervi una qualche indagine senza cadere in tecnici­smi e sottigliezze. Quando perciò commentano i Vangeli, parlando di Cristo non dicono semplicemente e coerente­mente che è Dio, ma che è un essere composto di divinità e umanità, in parte l’una e in parte l’altra; oppure che è un essere che sta tra l’una e l’altra; oppure un uomo abi­tato da una speciale presenza divina. Talvolta arrivano addirittura a negare che egli fosse Figlio di Dio in cielo, dicendo che divenne tale quando fu concepito di Spirito santo, e restano scossi – credendo che questo da parte lo­ro sia un segno di riverenza e di buonsenso – quando sen­tono chiamare semplicemente Dio questo Uomo. Non pos­sono sopportare che si dica, se non in maniera figurata o per modo di dire, che Dio ebbe un corpo umano e che soffrì: pensano che la « espiazione » e la « santificazione attraverso lo Spirito » (come dicono loro) sia il compen­dio e la sostanza stessa del Vangelo, e rifuggono da ogni enunciazione dogmatica che vada al di là del loro pensiero.

Sulla divinità di Cristo, credo sia questa l’opinione or­dinaria dei protestanti che sono fra noi, sia dei membri della comunione anglicana, sia dei dissenters[1], tolto un numero esiguo.

Ora, se voi voleste portare una testimonianza contro queste opinioni non cristiane, se voleste esprimere con chia­rezza, senza errore o evasione, la semplice idea della Chiesa cattolica, secondo la quale Dio è uomo, che cosa trovere­ste di più adatto che utilizzare l’espressione di san Gio­vanni: «Dio si è fatto uomo»? (Gv 1,4). E, ancora, come potre­ste esprimerlo con maggiore enfasi e chiarezza se non di­chiarando che Cristo nacque come uomo o che egli ebbe una madre?. Il mondo ammette che Dio sta uomo: que­sta ammissione gli costa poco, perché Dio è dappertutto e – si potrebbe dire – è ogni cosa; però il mondo si tira indietro quando gli si chiede di accettare che Dio sia il figlio di Maria. Si tira indietro perché viene immediata­mente posto di fronte a un fatto rigoroso, che offende e manda in frantumi la sua irreligiosa visione delle cose; la dottrina rivelata prende immediatamente la propria vera conformazione e ne riceve una realtà storica; e l’Onnipo­tente viene inserito nel suo stesso universo in un deter­minato tempo e in una maniera definita; i sogni sono spaz­zati via e le ombre sono dissipate; la verità divina non è più una espressione poetica, o una pia esagerazione, o una mistica economia, o una raffigurazione mitica. I sacrifici e le offerte – le ombre della Legge – tu non lì hai voluti, ma mi hai formato un corpo…; ciò che era fin dal princi­pio, che noi abbiamo sentito, che abbiamo veduto con i nostri occhi, che abbiamo contemplato attentamente e che le nostre mani hanno toccato… ciò che abbiamo visto e udito, questo noi vi annunciamo (1 Gv 1,1.3): tale è la testimonianza dell’a­postolo, contro quegli « spiriti » che negavano che « Gesù Cristo è apparso nella carne », e che lo facevano « svani­re » (Cfr. 1 Gv 4. 23), ricusando o la sua natura umana o la sua natura di­vina.

Il riconoscimento di Maria come Deipara[2], cioè ma­dre di Dio, è la salvaguardia per mezzo della quale noi si­gilliamo e garantiamo da qualsiasi deviazione la dottrina dell’apostolo, ed è la prova in base alla quale noi smasche­riamo tutte le presunzioni di quegli spiriti perversi dell’Anticristo, che sono usciti fuori in tutto il mondo (1 Gv 4,3)

Questo riconoscimento dice chiaramente che egli è Dio e nello stesso tempo implica che egli è uomo; ci suggeri­sce poi che egli è tuttora Dio, anche se è diventato uomo, e che è vero uomo pur essendo Dio.

Con la testimonianza del processo secondo il quale si è verificata l’unione, quel riconoscimento assicura la real­tà dei due soggetti che si sono uniti, cioè la divinità e l’umanità. Se Maria è Madre di Dio, Cristo dev’essere, al­la lettera, l’Emmanuele, cioè il « Dio con noi »(Cfr. Is 7,14; Mt 1,23). E così, quando, nel prosieguo dei tempi, gli spiriti del male e i falsi profeti acquistarono maggior forza e baldanza, e tro­varono la via per insinuarsi addirittura nel corpo del cat­tolicesimo, la Chiesa, guidata da Dio, non trovò via più efficace e più sicura, per liberarsene, che quella di adot­tare contro di loro il termine Deipara.

Sul versante opposto, quando nel secolo XVI essi rial­zarono la testa dai reami delle tenebre e programmarono la radicale demolizione della fede cristiana, nessun altro più sicuro espediente essi riuscirono a escogitare per il lo­ro detestabile obiettivo se non quello di svilire e bestem­miare i privilegi di Maria, ben sapendo che, se fossero riu­sciti a gettare il discredito sulla Madre, ne sarebbe segui­to direttamente il discredito del Figlio. La Chiesa e Sata­na si trovarono ad avere la stessa convinzione, che cioè Figlio e Madre andavano di pari passo; e l’esperienza di tre secoli è qui a ribadire questo loro convincimento: i cat­tolici infatti che hanno onorato la Madre continuano ad adorare il Figlio, mentre i protestanti che oggi non rico­noscono più il Figlio ai loro inizi hanno cominciato con lo svalutare la Madre.

Voi vedete perciò, fratelli miei, in questo caso speci­fico, l’armoniosa coerenza del complesso della rivelazio­ne, e l’influsso di una dottrina sull’altra: Maria viene esal­tata a causa di Gesù. Era giusto che essa, in quanto creatura (anche se la prima fra le creature), svolgesse un ruolo di servizio. Maria, come gli altri, è venuta al mondo per compiere un’opera, con una missione da compiere; la sua grazia e la sua gloria non ridondano a suo onore ma a onore di colui che l’ha creata; a lei è affidata la missione di pro­teggere l’incarnazione; questo è il compito che le è stato affidato: Una vergine concepirà e darà alla luce un figlio, e lo chiameranno l’Emmanuele (Is 7,14). Come la Vergine visse una volta in terra e fu personalmente custode del suo Bam­bino divino; come lo portò nel suo grembo, lo avvolse col suo abbraccio e lo allattò al suo seno, così ora, e fino all’ultima ora della Chiesa, le sue glorie e la devozione di cui è oggetto proclamano e definiscono la retta fede ri­guardo a Gesù Dio e uomo. Ogni chiesa a lei dedicata, ogni altare che viene eretto a sua invocazione, ogni im­magine che la rappresenta, ogni litania recitata in suo ono­re, ogni Ave Maria pronunciata per prolungarne il ricor­do, non fanno altro che ricordarci che ci fu Uno il quale, pur beato da tutta l’eternità, per amore dei peccatori « non aborrì il grembo della Vergine».

Per questo, Maria è la Turris davidica, come la chiama la Chiesa, « la Torre di Davide », cioè l’alta e robusta di­fesa del Re del vero Israele; la Chiesa infatti dice di lei, in una antifona, che « da sola ha distrutto nel mondo tut­te le eresie»[3].

E qui, fratelli miei, ci si presenta un nuovo pensiero, che deriva in modo del tutto naturale da quanto abbiamo detto. Se la Deipara testimonia sull’Emmanuele, essa de­ve necessariamente essere più che Deipara. Considerate infatti: una difesa deve essere forte per essere una difesa; una torre dev’essere, come la Torre di Davide, costruita con bastioni: centinaia di scudi pendono da essa, tutte le ar­mature di uomini valorosi (Ct 4,4).

A esprimere e a imprimere in noi il concetto che Dio è uomo non era sufficiente che sua madre fosse una crea­tura ordinaria: una madre che non avesse un suo posto nella Chiesa, senza dignità, senza privilegi, non sarebbe stata affatto una madre, quale richiede la difesa dell’in­carnazione. Non sarebbe durata nella memoria o nell’im­maginazione degli uomini. Se deve testimoniare a noi e ricordare al mondo che Dio si è fatto uomo, Maria deve a questo fine situarsi in una posizione importante ed ele­vata: dev’essere tale da colmare lo spirito, per ricordarci la lezione che ne deriva. Solo quando attira la nostra at­tenzione, allora – e non prima di allora – comincia a pre­dicare Cristo. «Perché dovrebbe avere simili prerogati­ve », noi ci domandiamo, « se egli non fosse Dio? E che cosa deve essere egli mai per natura se lei è stata così in­nalzata per grazia? ». Questo è il motivo per cui la Vergi­ne ha altre prerogative – come il dono della sua purezza personale e il suo potere di intercessione – oltre quella della sua maternità. Maria è stata personalmente dotata di privilegi in previsione di poter svolgere bene il suo ruolo; è stata fatta grande in se stessa in maniera da poter servi­re Cristo.

E questo il motivo per cui è stata fatta più gloriosa nella sua persona che nella sua missione: la sua purezza è dono più alto della sua parentela con Dio. Questo è il significato contenuto nella risposta che Cristo diede alla donna che fra la folla gli gridò mentre predicava: «Beato il grembo che ti ha portato e le mammelle che hai succhia­to! »( Lc 11,27). Egli le rispose indicando ai suoi discepoli una più alta beatitudine: «Sì, ma più beati sono coloro che ascolta­no la parola di Dio e la mettono in pratica » (Lc 11,28).

Voi sapete, fratelli, che i protestanti vedono in que­ste parole un certo qual disprezzo verso la grandezza di Maria, ma esse esprimono proprio il contrario. Vediamo: Cristo enuncia un principio: è più beato osservare i suoi precetti che essere sua madre. Ma chi, anche fra i prote­stanti, dirà mai che la Madonna non osservò i suoi pre­cetti? Li osservò sicuramente. Gesù afferma solamente che tale osservanza costituisce un privilegio più alto che quel­lo di essere sua madre: Maria cioè è più beata per il suo distacco dalle creature, per la sua dedizione a Dio, per la sua virginea purezza, per la sua pienezza di grazia che per la sua divina maternità.

È questo pure l’insegnamento costante dei santi Pa­dri: « Maria fu dunque più beata », dice sant’Agostino, « nell’ accogliere la fede di Cristo che nel concepire la car­ne di Cristo ». San Giovanni Crisostomo dichiara che Maria, pur avendo dato a Cristo la vita del “corpo, non sarebbe stata beata se non avesse ascoltato la parola di Dio e non l’avesse messa in pratica. Questa, ovviamente, è una ipotesi irreale, perché la Vergine fu fatta santa in manie­ra tale che potesse divenire Madre di Dio, e le due beati­tudini non possono essere disgiunte. Colei che fu scelta per dare carne e sangue al Verbo eterno fu prima ricolma­ta di grazia nell’anima e nel corpo. Tuttavia Maria godet­te di una duplice beatitudine: la missione ricevuta e le qua­lità per svolgerla, e questa seconda è la più grande. Ed è per questo motivo che l’angelo la chiama beata: «Piena di grazia» (Lc 1,28), le dice, «benedetta fra le donne» (Lc 1,42). E anche santa Elisabetta, quando esclama ad alta voce: «Beata tu che hai creduto » (Lc 1,45).

Maria stessa poi ribadì questa testimonianza quando l’angelo le annunciò il grande privilegio che stava per es­serle concesso. Nonostante che tutte le donne ebree di tutte le epoche passate avessero sperato di diventare madre del Cristo (e per questo motivo il matrimonio era tenuto in grande considerazione presso di loro e l’assenza di figli era ritenuta un rimprovero), essa sola aveva distolto il de­siderio e lo stesso pensiero di una così alta dignità. Colei che doveva generare Cristo, non diede alcun benvenuto al grande annuncio che sarebbe stata proprio lei a darlo alla luce. E perché si comportò così nei riguardi di questo annuncio? Perché, prima fra tutte le donne, era stata ispi­rata a dedicare la propria verginità a Dio: per questo mo­tivo non diede il benvenuto a un privilegio che sembrava comportare la rinuncia al suo voto. Come avverrà questo, domandò all’angelo, dal momento che io devo vivere se­parata dall’uomo? E fino a che l’angelo non le disse che il concepimento sarebbe stato miracoloso e opera dello Spi­rito santo, Maria non si tolse questa « preoccupazione » dall’animo, non riconobbe con certezza l’angelo come mes­saggero di Dio, chinando il capo in timorosa gratitudine di fronte a questa condiscendenza divina.

Maria perciò, nella purezza della sua anima e del suo corpo, è il modello – anzi, più che un modello – di quel­lo che era l’uomo prima della caduta e di quello che sa­rebbe diventato se avesse raggiunto la sua completa per­fezione. Sarebbe stata una dura vittoria del male, se tutta la stirpe umana fosse morta e in essa non ci fosse stato alcun esempio che mostrasse come l’aveva intesa il Crea­tore nella sua condizione originaria. Sappiamo che Ada­mo fu creato a immagine e somiglianza di Dio; la sua fra­gile e imperfetta natura, segnata dal sigillo di Dio, era sor­retta ed esaltata dalla grazia divina che vi inabitava. Le passioni violente non esistevano in lui, se non come ele­mento latente, un male possibile; l’ignoranza era dissipa­ta dalla chiara luce dello Spirito; la ragione, sovrana so­pra ogni moto dell’anima, stava con naturalezza soggetta al volere di Dio. Anche il suo corpo era preservato da ogni appetito o emozione deviante, e gli era promessa l’immor­talità invece che la dissoluzione. L’uomo si trovava in uno stato soprannaturale; e se non avesse peccato, di anno in anno avrebbe progredito in meriti e grazie e nel favore di Dio, finché sarebbe passato dal paradiso al cielo. Ma egli cadde; e i suoi discendenti sono nati simili a lui, e il mondo è andato peggiorando invece di progredire; intere generazioni di peccatori subirono una condanna inutilmen­te, e ogni miglioramento fu senza esito: perché l’uomo era carne (Gen 6,3) e i pensieri del suo cuore erano in ogni tempo pro­clivi al male (Gen, 6,5).

Ma un rimedio era stato decretato nei cieli: era pron­to un Redentore, Dio stava per realizzare una grande opera e decise di compierla in maniera conveniente: Dove ab­bondò il peccato sarebbe sovrabbondata la grazia (Rm 5,20). I re della terra, quando hanno figli, immediatamente elargi­scono qualche insigne favore, oppure ne fissano qualche alta memoria: onorano la data o il luogo o i messaggeri del fausto evento con un congruo segno di favore. La ve­nuta dell’Emmanuele non si discostò da queste collauda­te abitudini terrene. Era un’epoca di grazia e di prodigi, e questi dovevano apparire in maniera speciale nella per­sona della Madre dell’Emmanuele. Il corso dei secoli do­veva essere invertito, la tradizione del male doveva esse­re spezzata, una porta di luce doveva essere aperta in mezzo alle tenebre, per la venuta del Giusto: una Vergine lo aveva concepito e partorito. Era opportuno, per l’onore e la gloria di lui, che colei che era lo strumento per la sua presenza corporea fosse lei per prima un miracolo della sua grazia; era conveniente che essa trionfasse dove Eva era venuta meno e schiacciasse la testa del serpente (Gen, 3.15) per l’immacolatezza della sua santità. Ovviamente, da un certo punto di vista, la maledizione non fu rovesciata: Maria venne in un mondo caduto e si piegò alle sue leggi; assieme al Figlio che generò fu esposta alla sofferenza dell’anima e del corpo e andò soggetta alla morte; però non fu posta sotto il potere del peccato.

Come la grazia fu infusa in Adamo fin dal primo istante della sua creazione, cosicché non ebbe mai esperienza della propria povertà finché non ve lo ridusse il peccato, così la grazia fu elargita fin dal primo istante a Maria in una misura ancora più abbondante: Maria in effetti non spe­rimentò mai la privazione subita da Adamo: Maria inizia­va dove gli altri finivano, nella conoscenza come nell’a­more, sin dall’inizio rivestita di santità, predestinata alla perseveranza, luminosa e gloriosa al cospetto di Dio e in­cessantemente occupata in azioni meritorie, che duraro­no fino al suo ultimo respiro. Il suo fu chiaramente il sen­tiero del giusto, che, come luce splendente, viene avanti e cresce fino al giorno fatto (Pr 4,18); e senza peccato nel pensiero, nelle parole e nelle azioni, nelle piccole cose come nelle grandi, in occasioni di poco conto e in quelle di maggiore entità: tutto come conseguenza naturale e ovvia di un ta­le esordio. Se ad Adamo fu data la possibilità di tenersi lontano dal peccato nella sua condizione primitiva, a mag­gior ragione potremo aspettarci una immacolata perfezio­ne in Maria[4].

Questa è la sua prerogativa di perfezione senza pec­cato, ed è anch’essa – come la sua maternità – in vista dell’Emmanuele. Ecco allora la sua risposta al saluto del­l’angelo, «Gratia plena», con l’umile riconoscimento: «Ec­ce ancilla Domini. Ecco la serva del Signore » (Lc 1,28.38).

Simile a questa è la sua terza prerogativa, che deriva sia dalla sua maternità sia dalla sua purezza, e ne parlere­mo per completare l’enumerazione delle sue glorie. Intendo parlare del suo potere di intercessione. Infatti, se Dio non ascolta i peccatori, ma se un uomo è suo adoratore e compie il suo volere, egli lo ascolta (Gv 9,31); se la preghiera continua del giusto ha molto valore (Gc 5.16); se al fedele Abramo fu chiesto di pregare per Abimelech, perché era un profeta (Gen 20,7), se il pa­ziente Giobbe doveva pregare per i suoi amici perché ave­va detto cose giuste al cospetto di Dio (Gb 42,8); se il mite Mosè te­nendo alzate le braccia fece volgere in favore di Israele la battaglia contro Amalec (Cfr. Es 17,11), perché dovremmo stupirci nel sentire che Maria, l’unica figlia senza macchia dal se­me di Adamo, ha una sovrumana influenza presso il Dio della grazia? E se a Gerusalemme i Gentili cercarono Fi­lippo (perché era un apostolo) quando vollero raggiunge­re Gesù, e Filippo parlò con Andrea (che era più in confi­denza con il Signore), e poi tutti e due assieme andarono da lui (Cfr. Gv 12.20-22), è strano che la Madre abbia presso il Figlio un potere di genere diverso da quello del più puro fra gli an­geli e del più glorioso fra i santi?

Se abbiamo tanta fede da accettare l’incarnazione, dob­biamo accettarla nella sua pienezza. Perché dunque do­vremmo stupirci ai condiscendenti compiti che ne deriva­no, o che da essa sono richiesti, o che vi sono inclusi? Se il Creatore scende in terra in forma di servo e di creatu­ra (Cfr. Fil 2,7), perché dall’altro lato non potrebbe la Madre sua in­nalzarsi a essere la Regina dei cieli, rivestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi? (Cfr. Ap 12.1).

Io non sto cercando, fratelli miei, di dimostrarvi que­ste verità. La loro evidenza deriva dalla enunciazione stessa che ne fa la Chiesa, che è l’oracolo della verità religiosa ed elargisce in ogni luogo e in ogni tempo quanto gli apo­stoli le hanno affidato. Noi allora dobbiamo accettare la sua parola anche senza prove, perché essa ci è stata data da Dio per insegnarci come piacere a lui; e il fatto di agi­re così è il criterio per vedere se siamo o non siamo vera­mente cattolici.

Io perciò non sto portando prove in favore di quanto voi già avete accettato: sto semplicemente mostrandovi la bellezza e l’armonia dell’insegnamento della Chiesa in uno dei tanti esempi possibili; i quali sono talmente bene strutturati (così come sono stati intesi da Dio) da favorire questo insegnamento presso chi lo studia, e da renderlo caro ai suoi figli.

Una parola ancora, e concludo.

Vi ho mostrato quanto siano colme di significato le verità che la Chiesa insegna sulla santa Vergine. Ora con­siderate quanto significativo è stato pure il modo in cui la Chiesa ha proposto queste verità: troverete che a que­sto riguardo, così come per le prerogative di Maria in se stesse, è sempre costante il riferimento alla gloria di colui che gliele ha concesse. Come voi sapete, quando Cristo uscì per la prima volta a predicare, Maria se ne rimase in disparte; non interferì nel suo operare; e anche dopo che salì in alto (Cfr. At 1,9), lei, donna, non se ne uscì a predicare o a in­segnare al posto suo, non si sedette sul seggio degli apo­stoli, non partecipò dell’ufficio sacerdotale: si limitò a cer­care umilmente il Figlio suo nelle messe celebrate ogni gior­no da coloro che, pur essendo suoi servi in cielo, erano a lei superiori nella Chiesa in terra. Né quando lei ed essi lasciarono la scena di quaggiù e lei fu Regina alla destra del Figlio, neppure allora gli chiese di diffondere il suo nome per tutta la terra, o di innalzarla davanti agli occhi del mondo. Rimase invece ad aspettare il tempo in cui la propria gloria fosse necessaria alla gloria di lui.

Cristo, certamente, fin dagli inizi è stato annunciato dalla santa Chiesa e messo in trono nel suo tempio, per­ché era Dio: non conveniva all’Oracolo vivente della ve­rità sottrarre ai fedeli l’oggetto stesso della loro adorazio­ne. Ma la cosa era diversa nel caso di Maria: diventava suo dovere, come creatura, come madre e come donna, starsene in disparte e aprire la strada al Creatore, servire il proprio Figlio e meritarsi la venerazione del mondo con la sua dolce e benigna persuasione.

Ma quando il nome di lui fu vituperato, ecco che lei fu presente a servirlo; quando l’Emmanuele fu rinnegato, allora la Madre di Dio, per così dire, si fece avanti; quan­do gli eretici dissero che Dio non si era incarnato, quello fu il tempo giusto per rendere onore alla sua Madre. ‘E solo quando tutto questo fu compiuto finì anche la sua battaglia, che non aveva combattuta per se stessa ma per il Figlio. Non ci furono feroci controversie, o persecuzio­ni contro i suoi testimoni; niente eresiarchi, niente sco­muniche; per la sua graduale manifestazione non furono necessarie queste cose; come a Nazaret era cresciuta gior­no dopo giorno in grazia e meriti, mentre il mondo non sapeva neppure della sua esistenza, così si è innalzata si­lenziosamente e ha raggiunto il proprio posto nella Chie­sa attraverso una tranquilla influenza e un processo del tutto naturale. Era come un albero elegante, che stende i propri rami carichi di frutti e di foglie fragranti e span­deva la propria ombra sulla terra dei santi. L’antifona co­sì dice di lei: « La tua dimora sta in Giacobbe e la tua ere­dità in Israele; metti radici fra i miei eletti » (Cfr. Sir 24.8). E ancora: « In Sion collocai la mia dimora e mi fermai nella Città santa, in Gerusalemme fu il mio potere. E misi radici in un popolo illustre, e fui trattenuta nella gloriosa compa­gnia dei santi. Fui esaltata come un cedro sul Libano e come un cipresso sul Monte Sion; ho allargato i miei rami come un terebinto, e i miei sono rami di onore e di pa­ce» (Cfr. Sir 24,10-13.16). Così è stata innalzata senza aiuti e ha ottenuto una vittoria modesta, ed esercita un dolce influsso, che lei non ha preteso. Quando sorsero discussioni fra i suoi figli, li mise a tacere; quando si espressero obiezioni con­tro di lei, rinunziò ai propri diritti e stette ad aspettare; finché ora, proprio oggi – se Dio lo volesse – Maria con­quisterà, finalmente, la sua più radiosa corona e, senza più voci contrarie, in mezzo anzi al giubilo della Chiesa tut­ta, sarà salutata immacolata nel suo concepimento[5].

Così tu sei, Madre santa, nel Credo e nella venerazio­ne della Chiesa, la difesa di molte verità, la grazia e la lu­ce serena di ogni devozione. In te, Maria, si è realizzato – come è possibile a noi – un progetto originario del­l’Altissimo. Egli già aveva deciso di venire sulla terra nel­la sua gloria celeste, ma noi abbiamo peccato; egli allora non poteva più prudentemente visitarci se non in una ra­diosità velata e con una maestà soffusa, perché egli era Dio. E allora venne nella debolezza, non nel potere; e man­dò te, una creatura, in vece sua, con la grazia di una crea­tura e uno splendore che si confà alla nostra condizione. Ora il tuo stesso volto e la tua figura, Madre cara, ci par­lano dell’Eterno; non come la bellezza terrena, pericolosa a essere rimirata, ma come la stella del mattino, che è tuo simbolo, luminosa e musicale, che emana purezza, parla di cielo e infonde pace. O preludio del giorno! O speran­za del pellegrino: guidaci ancora come finora ci hai guida­to; nella notte oscura, attraverso lo squallore del deserto, guidaci verso Gesù nostro Signore, mostraci la strada di casa.

Maria, mater gratiae,

dulcis parens clementìae,

tu nos ab hoste protege

et mortis hora suscipe.

Maria, della grazia madre,

di clemenza dolce genitrice,

tu dal nemico difendici,

nell’ora della morte accoglici.

Discourses addressed to Mixed Congregations, London 1909,  pp. 342-359.

Questo sermone e (anche altri)  sono da Discourses addressed to Mixed Congregations, tenuti all’Oratorio di Birmingham. Fra i primi sermoni cattolici di Newman, sono stati predicati nella primavera/estate 1849, tre anni e mezzo dopo la conversione alla Chiesa cattolica e due anni dopo essere stato ordinato sacerdote nella stessa. Non erano sermoni all’interno di una celebra­zione eucaristica, e vi partecipavano anche molti anglicani (mixed congregations)

testo in italiano: John Henry Nerwman, Maria, pagine scelte, Paoline 1999, pp. 128-145.


[1] I dissenten erano coloro che si erano separati dalla Chiesa di Stato (Established Church) d’Inghilterra, rifiutando di accettare alcune dottrine o tra­dizioni autorizzate della Chiesa anglicana. Successivamente furono chiamati an­che « non conformisti » o « Free Churchmen ».

[2] II termine « Madre di Dio » (greco: Theotokos; latino: Deipara) era pro­prio il termine che a Newman, come anglicano, ripugnava usare. Ora, come cattolico, si sente libero e sicuro nella sua testimonianza di fede. Tutti i 18 sermoni raccolti in Discourses to Mixed Congregations mostrano uno zelo tipico dei neoconvertiti. Così R. Hutton descrive il particolare fascino di questi ser­moni: « Vi è in essi l’entusiasmo del convertito più che in ogni altra pubblica­zione di Newman; sono esempi eloquenti ed elaborati della sua abilità oratoria come predicatore e del suo sentire, se posso dire così, i vantaggi religiosi di chi parlava, in certo qual modo, a nome della grande Chiesa di Roma. Più di qualsiasi altro scritto… rappresentano il dottor Newman quando, per la prima volta, si sentì libero come se gli avessero tolto la “museruola”; e anche se non hanno il fascino delicato della riservatezza e, potrei quasi dire, la timida pas­sione dei suoi sermoni del tempo di Oxford, questi rappresentano la piena fio­ritura del suo genio, mentre i primi lo mostravano solo ancora in boccio » (Car­dinal Newman, London 1891, p. 197).

[3] Nella liturgia del tempo l’antifona era usata nel Comune della Beata Vergine a Mattutino, nel III notturno e inoltre nelle messe Salve Sancta Parens e Vultum tuum. Newman considerava il mistero di Maria una salvaguardia dell’autentico insegnamento cattolico.

[4] Newman tiene in grande considerazione ed esalta la purezza e la san­tità di Maria. Le considerava un requisito indispensabile per la sua divina ma­ternità. Tuttavia insiste sul fatto che Maria non fu semplicemente uno stru­mento passivo nelle mani di Dio, ma cooperò attivamente ad ogni grazia e ri­chiesta divina: questo la innalza ad altezze inconcepibili di santità. In una let­tera a una donna anglicana, il novembre precedente questo sermone, Newman aveva scritto che nelle parole di Cristo « Chi è mia madre? », ecc. – che sem­brano togliere valore alla Vergine – « i cattolici fondano la dottrina che per Maria, l’essere Madre di Dio non è il suo solo titolo di onore, ma fu resa tale a motivo della sua personale santità, il che porta alla dottrina della Immacolata Concezione » (LD, XII, 334).

[5] Un paragrafo intenso che descrive il lento, ma costante sviluppo della dottrina mariana nella storia della salvezza e nella vita della Chiesa. L’Imma­colata Concezione sarebbe stata proclamata dogma da Pio IX nel 1854, quat­tro anni dopo che Newman aveva tenuto questo sermone.