P. Hermann Geissler, Dio nel cuore del’uomo: recensione del libro: Michele Marchetto, Prova del teismo
E stato pubblicato, a cura di Michele Marchetto, il libro Prova del teismo di John Henry Newman (Roma, Castelvecchi, 2018, pagine 80, euro 10). Si tratta di un argomento a sostegno dell’esistenza di Dio, che passa attraverso il riconoscimento della consapevolezza della nostra esistenza e della coscienza morale a essa associata. L’analisi fenomenologica, proposta in tale libro, rende manifesta la realtà trascendente di una Persona dentro la persona che noi stessi siamo. Newman non afferma che il dovere morale esiste perché esiste Dio, ma, al contrario, che Dio esiste perché esiste il dovere morale.
Come spiega Marchetto nell’ampia introduzione, il testo della Prova del teismo risale al 1859, con successive annotazioni, e costituisce la parte più cospicua di quello che più tardi sarebbe stato pubblicato con il titolo di Philosophical Notebook, un quaderno già tradotto in italiano da Marchetto nel volume Scritti filosofici. Il fattore scatenante di questo progetto è una lettera del 1857 indirizzata a Newman da William George Ward, il quale chiede urgente mente un suo intervento in materia di “prova” di Dio presso i giovani studenti: «Niente è più clamorosamente richiesto di un argomento a favore del teismo», scrive, segnalando che gli studenti soffrono degli effetti di «prove» somministrate loro perché ritenute convincenti quanto alla retta fede, ma che essi non avvertono affatto come tali. L’esito è la loro convinzione che «l’unica via sicura per mantenere la fede sia il risoluto oscuramento della ragione». Newman ha un vivo interesse per la filosofia della religione, in particolare per il rapporto fra fede e ragione e la formazione intellettuale dei laici cattolici. Risponde quindi a Ward con l’idea di un’argomentazione di ampio respiro che intende attingere alla storia del pensiero cristiano e alla dimensione personale della fede. Secondo lui, l’approccio alla questione di Dio non può che essere personale e l’argomento positivo a favore dell’esistenza di Dio si fonda innanzitutto sulla coscienza morale.
In questo contesto va collocata la centralità che assume la coscienza nella Prova del teismo. La coscienza, nelle due accezioni di “consap evolezza” (consciousness) e di “coscienza morale” (conscience), non può che fare riferimento alla “persona” nella sua individualità e unicità, ma nel contempo come luogo in cui si manifesta il Creatore. A partire dalla prima conversione nel 1816, Newman, infatti, ha la certezza «di due soli esseri assoluti e luminosamente evidenti in se stessi, me stesso e il mio Creatore», come scrive nella Apologia pro vita sua.
La coscienza morale è intesa da Newman come l’individuazione di atti degni di lode o di biasimo. Lode e biasimo sono forme di quel sentire in virtù del quale assumo consapevolezza del mio esistere. E come attraverso analoghi atti mentali mi vengono presentati dei fenomeni a me esterni, così attraverso la coscienza morale mi viene presentata una realtà a essa esterna, un “tribunale”, che non dipende dalla persona che giudica, poiché «è qualcosa di più dell’io proprio di un uomo»: è «Dio dentro il mio cuore», come scrive Newman nel romanzo Callista.
Come il sentire in genere media alla coscienza (consciousness) la mia esistenza, e la sensazione di colori e forme media alla coscienza (consciousness) l’esistenza di fenomeni a essa esterni, così affetti ed emozioni, come la lode e il biasimo, mediano alla coscienza morale (conscience) l’esistenza di una Persona a essa esterna, un Padre invisibile,onnisciente, onnipotente, che mi guida nelle mie azioni. La coscienza, dunque, è una «guida personale». In quanto “guida”, è l’eco della voce di Dio, alla quale nessuno può sottrarsi. In quanto “personale”, è individualità concreta, e porta in sé tutti gli accidenti della persona.
Nella Prova del teismo, ulteriormente approfondita nel capolavoro Saggio a sostegno di una grammatica dell’assenso (1870), Newman trova sostegno a queste argomentazioni in una serie di autori antichi elencati in una lunga nota e che sono accomunati dalla convinzione che «nel nostro cuore c’è qualcosa che ordina». È davanti a Dio che la coscienza riconosce la propria libertà e responsabilità, ma anche il proprio limite, segno che non è l’io la misura di se stesso, ma la trascendenza.
Newman sa di non poter oltrepassare il limite dell’esperienza della propria natura umana. Nello stesso tempo, trova in quell’esp erienza il segno della provvidenza dalla quale essa dipende e che ne è il fondamento — la «luce gentile» che guida ogni persona sul suo cammino personale. Newman non nega le tradizionali “prove” di Dio, ma è del parere che esse non riscaldano il cuore, perché rimangono formulazioni astratte e teoriche. La sua via della coscienza, invece, conduce a un Dio che sta in una relazione personale conciascun essere umano, lo guida alla conoscenza della verità, lo sprona a fare il bene, si presenta come suo signore e giudice. La coscienza è l’eco della voce di Dio, come scrive in Callista: «Un’eco suppone una voce; una voce, un interlocutore. E quell’interlocutore, lo amo e lo temo».
Pubblicato in: L’Osservatore Romano, 11-12 giugno 2018, p. 7